La Cina chiama a raccolta i cittadini della Rete: se le autorità statali si occuperanno di epurare la rete da sconcezze e trivialità, i netizen sono invitati a dimostrare online tutto il loro amore per la madrepatria.
Non tutti i siti si adoperano per promuovere il rigore e l’autarchia: la campagna condotta da Pechino nei confronti dei siti web immorali e volgari incede senza posa. La divisione cinese di Google, colpita dall’invettiva delle autorità per l’abitudine di linkare materiale inappropriato, si è profusa in scuse, ha rinunciato ad agire da semplice intermediario e ha rimosso i collegamenti sgraditi , ha promesso servizi a favore del pubblico indignato. Così hanno fatto i principali portali nel mirino di Pechino.
Ma non sono bastate le scuse per evitare che le richieste di conversione scagliate dalle autorità nei giorni scorsi si tramutassero in chiusure e rimozioni coatte : le blacklist diramate dai media di stato si sono moltiplicate, su 91 siti è calato il silenzio . Se le immagini oscene che si affollano online, responsabili di corrompere le malleabili menti dei giovani cittadini, sono l’obiettivo principale della purga, non vengono risparmiati nemmeno gli spazi online dedicati al commento politico e ai diritti civili .
“Parlando con le persone che lavorano qui nelle web company emerge con chiarezza che si sentano sempre più sotto pressione, pressate per controllare tanto i contenuti a sfondo politico quanto il porno – ha spiegato Rebecca McKinnon, esperta di Cina e cofondatrice di Global Voices Online – Sono venuta a sapere che numerose aziende stanno rimpinguando il loro staff impiegato a vigilare sui contenuti e stanno introducendo strumenti software e altri meccanismi per segnalare quanto potrebbe metterle nei guai”. Gli intermediari della rete prendono dunque provvedimenti, rinunciano ad agire da inerti canali e ricreano per i cittadini cinesi una Internet a misura di Pechino .
Per gli operatori della rete si tratta di una strategia indispensabile per tutelare la loro sopravvivenza online. Ma ci sono cittadini della rete cinese che agiscono compatti come un motore di ricerca umano, che operano spontaneamente e che spontaneamente pattugliano il Web alla ricerca di casi da risolvere e di ingiustizie da vendicare . Si tratta di operazioni delicate, che rischiano di sfociare in lapidazioni a mezzo Web. Per questo motivo i netizen cinesi che si sentono investiti del ruolo di giustizieri si sono dati delle regole : oltre a promettere di non mettere a repentaglio la privacy degli individui che andranno smascherati, oltre a stabilire che è necessario opporsi alla corruzione e perseguire il bene comune senza rinunciare a mantenere l'”armonia di Internet”, concordano nel definire imprescindibili “l’amore per la madrepatria e l’amore per il Partito Comunista”.
Se i soggetti che compongono i motori di ricerca umani agiscono mossi dal senso della giustizia, Pechino si occupa di costruire e di tutelare la propria immagine ricorrendo a strategie adottate dalle aziende e da comunicatori votati alla riesumazione di divette decadute. Sono innumerevoli i cittadini cinesi assoldati da Pechino per intessere una conversazione con la rete e placare i dibattiti innescati da coloro che si mostrano recalcitranti nell’accettare le regole e restii a condividere le versioni ufficiali. Vengono ricompensati con il corrispettivo di 5 centesimi di euro per ogni intervento che sappia contenere le sortite di cittadini animati da sconvenienti fervori politici ed evangelizzare i netizen latori di notizie sgradite alle autorità. Nel giro di venti minuti, ha raccontato a BBC uno dei commentatori stipendiati, la notizia che un netizen ha postato su un popolare sito cinese e che avrebbe potuto fomentare un putiferio si è trasformata in un’opinione innocua, subissata dalle critiche di 120 netizen foraggiati da Pechino.
Popolata da commentatori di stato e contenuta dagli intermediari del web, la rete cinese ha reagito alla campagna di contenimento dei contenuti scomodi e illegali: nonostante si affollino online i commenti favorevoli all’epurazione, le voci del dissenso riescono a trapelare.
Gaia Bottà