Las Vegas – Una casa intelligente, in un palazzo intelligente, dentro un quartiere intelligente di una città intelligente . La pervasività della tecnologia nella vita di tutti i giorni, secondo IBM, può essere sfruttata a nostro vantaggio: se il contatore dell’energia elettrica è “intelligente”, ovvero è in grado di fornire informazioni avanzate sul suo stato di funzionamento, è bene sfruttare questa possibilità. E, visto il fiorire di dispositivi sempre più elettronicamente evoluti che fanno capolino ovunque (non solo nelle abitazioni), secondo Big Blue è arrivato il momento di guardare con maggiore attenzione al capitolo dell’edilizia “smart”.
L’idea è: allargare il concetto di piattaforma IT dai server ai dispositivi che sempre più spesso si affollano in casa e nell’edilizia in generale. Contatori dotati di CPU appunto (o i cosiddetti smart meter ), apparecchi per la geolocalizzazione, rilevatori di vario genere (di perdite d’acqua, di intrusione), ogni tipo di input ivi comprese le eventuali e sempre più pervasive telecamere di sorveglianza. L’introduzione di questi nuovi apparecchi comporta un certo aumento del grado di complessità nella gestione delle risorse : complessità che IBM si dice pronta e in grado di gestire. Tutti questi dispositivi, che fino a oggi sono stati gestiti da personale diverso in reparti diversi, possono diventare parte di una catena che va a formare il paradigma dello “smart building”: nient’altro che la rivisitazione della “casa intelligente” a lungo profetizzata in questi anni, ma che ora da Armonk rilanciano con una rivisitazione della propria offerta software e hardware.
Il concetto portato avanti da Big Blue riguarda il “perimetro” dell’IT: dov’è che finisce la tecnologia e inizia altro, cosa rientra nella sfera di competenza dell’informatica e cosa invece no? Con l’ingresso dell’elettronica nell’edilizia, nella gestione dell’energia, delle risorse idriche e ogni altra attività, i confini si sono fatti meno definiti: oggi è possibile, anzi è probabile, che ogni apparecchio utilizzato per svolgere controlli sia dotato di abbastanza “intelligenza” da trasformarsi in una periferica di un sistema informatico interconnesso . E poi ci sono i cellulari, gli smartphone, i palmari, i tablet, tutti apparecchi che a vario titolo possono senz’altro fornire dati da tenere nel sistema per analizzarli. Vale la pena, dice IBM, di approfittarne – anche in chiave ecologica, visto che questo approccio dovrebbe garantire guadagni significativi in tal senso.
Per tenere fede a questo impegno, l’azienda di Armonk ha annunciato durante la sua conferenza di inizio anno tutta una serie di nuove partnership e di progetti in via di completamento: tra le prime figurano quelle con Johnson Control e Ricoh , mentre nel secondo caso l’esempio portato all’attenzione della stampa e degli analisti presenti è stato quello della città di Chesapeake ( Virginia ). Quest’ultima, una comunità da oltre 200mila abitanti, ha avviato un programma di “digitalizzazione” dei propri servizi proprio con la collaborazione di IBM e con l’utilizzo di software e tecnologie messe a disposizione di Big Blue, provenienti dalle linee Tivoli e Maximo .
L’esempio di Chesapeake è senz’altro calzante: la presenza nel territorio cittadino di una vasta canalizzazione navigabile, oltre alle consuete strade e servizi, coinvolge un ampio numero di aziende pubbliche e private che si incrociano nella gestione delle infrastrutture . Ci sono condutture idriche da manutenere, pali della luce da tenere in piedi, verde e asfalto da tenere in ordine: l’utilizzo in vasta misura di un approccio digitale consente di avere tutto sotto controllo grazie a una struttura digitale centrale, accentrando le informazioni, fornendo al contempo a ogni entità coinvolta tutti i dati utili a prevenire, gestire e risolvere gli imprevisti. Garantendo anche, insomma, che se gli operai intervengono per tamponare una perdita scavando non finiscano per tranciare i cavi telefonici.
Quanto mostrato altro non è che un pannello di controllo centralizzato per la gestione di servizi e guasti, che ovviamente però sottintende un certo lavoro di integrazione e astrazione: il personale della municipalità addetto ai controlli osserva attraverso una singola interfaccia lo stato complessivo di forniture elettriche, idriche, telefoniche, tutto quanto è inserito nel sistema. Se si verifica un problema è il software stesso a suggerire eventuali ricadute su altri servizi (esempio: scoppia un tubo che allaga una centrale telefonica, mandando in tilt anche i cellulari), consentendo da un’unica postazione anche di individuare sul territorio le squadre addette alla riparazione per gestire al meglio l’emergenza: le informazioni , inoltre, sono condivise in un flusso bidirezionale anche con tutti gli altri soggetti pubblici e privati coinvolti in queste operazioni.
Il concetto di smarter building si allarga alla città: conoscendo le esigenze energetiche di un quartiere si può decidere di sostenerne la fornitura durante un disservizio sottraendo le risorse necessarie altrove. Oppure si può accelerare la risoluzione dei problemi avviando in anticipo le procedure necessarie (nell’esempio precedente, prevedendo che la squadra dell’operatore telefonico si rechi sul posto senza aspettare che quella dell’acquedotto faccia la stima dei danni), ottimizzare l’utilizzo del personale a disposizione, individuare eventuali schemi che portino a determinare la causa di una rottura imprevista per ottimizzare gli schemi di manutenzione. Il paradigma è comunque granulare , ovvero può essere inteso come l’interconnessione di abitazioni intelligenti (case o palazzi) all’interno di una vasta rete che integri anche edifici pubblici e servizi comuni.
Questo paradigma di “intersezione tra mondo fisico e digitale”, ci tiene a precisare IBM, ovviamente può essere applicato anche ad altri settori oltre a quello dell’edilizia o della gestione urbana: alberghi, resort, officine, ospedali, industrie, tutti possono sfruttare l’offerta integrata (altro cavallo di battaglia) che IBM propone quasi con il concetto “chiavi in mano”. Da Armonk sottolineano la propria capacità di fornire ogni tipo di servizio e sistema utile al completamento di questi sistemi, ovviamente con vantaggi significativi rispetto alla concorrenza: ovvero la capacità dichiarata da Big Blue di spaziare dall’hardware al software, dalla consulenza al cloud, dai server ai maniframe.
Le soluzioni mostrate, in particolare quelle relative all’ asset management della linea Maximo, sono senz’altro molto interessanti: l’unico limite che di primo acchito è possibile individuare al concetto di smarter building IBM è il costo che questo tipo di iniziative di ammodernamento potrà avere per comunità medio-piccole (nel caso di Cheasepeake fino a questo momento sono stati spesi 1,2 milioni di dollari, ma il progetto avviato 14 mesi fa non è ancora concluso). Secondo le informazioni fornite da Big Blue, i risparmi in termini di gestione dei servizi e dei consumi dovrebbero in ogni caso costituire uno stimolo adeguato all’operazione di consolidamento dei propri sistemi: inoltre, da Armonk tentano di promuovere un nuovo principio di gestione dell’infrastruttura IT che preveda la riunificazione di sviluppo e utilizzo , guardando al servizio come un entità unica da seguire dalla nascita al suo effettivo impiego (spalmando cioè i costi su un arco temporale maggiore).
Calato in una realtà come quella italiana , fatte tutte le considerazioni del caso su disponibilità economiche della pubblica amministrazione (locale e nazionale) e sullo stato delle infrastrutture e delle mappe catastali relative alle municipalità e ai servizi, l’avvento delle città intelligenti nel Belpaese potrebbe richiedere tuttavia probabilmente qualche sforzo e qualche riflessione in più. Da sola, la motivazione ecologica difficilmente farà breccia nell’agenda infrastrutturale e politica italiana.
Luca Annunziata