Alla fine dello scorso marzo , la comunità di fan di Linux su PlayStation 3 aveva faticato non poco a digerire un preciso annuncio da parte di Sony. Con l’aggiornamento 3.21 del firmware della console nipponica, è stata eliminata l’opzione per l’installazione di un sistema operativo alternativo a quello proprietario.
Un sistema operativo come Linux, il cui supporto è stato disabilitato dall’azienda giapponese a causa di non meglio specificati motivi di sicurezza . Alcuni giorni dopo , un utente britannico di Amazon UK aveva chiesto (e quindi ottenuto) un rimborso di quasi 100 euro appellandosi ad una normativa europea a tutela del consumatore. Tutti i prodotti devono infatti “essere adatti allo scopo che il consumatore prevedeva al momento dell’acquisto”.
Probabilmente spinto da questo rimborso, un acquirente californiano di nome Anthony Ventura ha deciso di capeggiare una class action contro Sony, rea di aver impedito in maniera sleale l’utilizzo di Linux sull’interfaccia XMB della PS3 . Secondo la posizione di Ventura , Sony avrebbe deciso di sfrattare il Pinguino per inseguire i propri interessi di mercato, a spese dei suoi stessi clienti.
Il gamer a stelle e strisce ha poi sottolineato – sulla scia tracciata dal cliente di Amazon UK – come Sony sia venuta meno agli obblighi contrattuali verso i suoi clienti , lasciando a bocca asciutta le loro attese. La class action promossa da Ventura ha così chiamato all’appello tutti quei clienti che hanno acquistato una PS3 dal novembre 2006 alla fine di marzo 2010. Mentre Sony ha ribadito di essere libera di effettuare modifiche, finché siano in linea con i termini e le condizioni d’uso in vigore.
Mauro Vecchio