Si è tenuto a Roma il 28 maggio scorso il Knowledge Box Spring 2009 , l’appuntamento organizzato da IT Consult che dal 2002 si ripete due volte l’anno, a Roma ed a Milano, e fa il punto sul Knowledge Management.
Quest’anno oltre a portare la testimonianza di aziende che hanno adottato il Knowledge Management nella loro organizzazione con più o meno successo, è stato molto interessante ascoltare la relazione sullo stato dell’ Enterprise 2.0 in Italia realizzata dall’Osservatorio Enterprise 2.0 della School of Management del Politecnico di Milano, illustrata dal professore Mariano Corso.
I risultati della relazione sono molto interessanti e indicano che ove l’Enterprise 2.0 porta risultati economici immediati in termini di risparmio visibile sul bilancio aziendale, esso è stato adottato dalle imprese o si sta pensando di adottarlo, mentre invece dal punto di vista della comunicazione e della collaborazione l’adozione di strumenti a supporto all’interno delle imprese è in forte ritardo.
In particolare si è rilevato come i direttori delle risorse umane a parole si dimostrino interessati alle nuove tecnologie, ma nei fatti siano decisamente restii ad adottarle. Secondo le parole del professor Corso essi stanno di nuovo adottando lo stesso comportamento che negli anni passati hanno avuto quando si è introdotta l’email e poi dopo quando si è introdotta Internet. In pratica si sta facendo sempre lo sbaglio di considerare un giocattolo e un occasione di distrazione quello che poi negli anni diventerà un asset aziendale imprescindibile.
Discorso a parte invece occorre fare per i CEO intervistati, i quali per la maggior parte ignoravano completamente l’argomento e la tecnologia. Anche questo fenomeno secondo il professor Mariano è un indicatore del fatto che la cultura aziendale che gira intorno al CEO ignora molti degli aspetti dell’Enterprise 2.0 e del BPM (Business Process Management).
In quanto all’adozione del Knowledge Management ed alla mappa delle competenze aziendali in Italia ben poche aziende sanno di che cosa stiamo parlando e lo hanno adottato come prassi. Anche le esperienze portate dalle varie aziende che hanno partecipato al convegno hanno evidenziato come l’adozione di uno strumento di BPM piuttosto che una scelta consapevole sia stata la necessità di supplire ad un’emergenza organizzativa.
Ma nella vita di tutti i giorni, non solo nelle aziende, a cosa mai può servire avere degli strumenti di BPM? In pratica si tratta solo di sapere come fare una cosa, quando e da parte di chi. Una cosa che noi informatici facciamo quasi inconsapevolmente come modus operandi, ma che nelle grandi (e spesso anche nelle piccole) organizzazioni, dislocate anche logisticamente a centinaia o migliaia di chilometri l’una dall’altra, dove le persone cambiano quasi quotidianamente, non è mai dato per scontato. In queste organizzazioni l’inefficienza e spesso anche l’inefficacia resta sovrana.
Ma nella vita quanto ci aiuterebbe un po’ di BPM?
Prendiamo quello che è capitato a me. Oltre 6 mesi fa ho osato cambiare la residenza, un grosso sbaglio per chi vive a Roma. L’evento cambio di residenza fa scattare l’evento aggiorna patente, aggiorna carte di circolazione, aggiorna tassa immondizia, aggiorna medico curante, aggiorna carta elettorale, aggiorna tessera sanitaria ecc.
Ora tutti questi eventi sono gestiti da N dipartimenti diversi all’interno della stessa azienda (l’amministrazione Statale). Ogni dipartimento alla ricezione dell’evento ha delle regole interne per gestirlo, ma in pratica nessuno è realmente responsabile di fare qualcosa. Il risultato è che al momento dopo oltre 6 mesi non ho ancora uno straccio di documento aggiornato perché nessuno si è degnato di prendere in mano la mia pratica, e neanche so dove è finita o chi dovrebbe lavorarci.
Oltre a questa inefficacia dovuta all’organizzazione aziendale, mettiamoci pure che hanno cambiato il personale durante questo periodo e quindi il know-how si è frammentato, se non perso. Il risultato è che se mi dice bene tra circa altri 12 mesi avrò di nuovo tutti i miei documenti in regola.
La stessa precisa identica cosa succede nelle imprese. Le persone cambiano di continuo, le cose si perdono e sono smarrite tra le centinaia d’email che affollano la nostra casella di posta o nella marea di folder che popola il nostro hard disk. In un mondo ideale, mi diceva il professor Corso, ogni evento all’interno di un processo genera un task sul desktop della persona che lo deve avere in carico. In ogni momento, in questo mondo ideale si può verificare lo stato del processo e dove si è fermato.
Quello che sembra un grosso vantaggio a prima vista, mi spiegava il professor Corso, è una letale arma a doppio taglio perché con uno strumento di BPM è fin troppo facile ricavare dei report puntuali, rendendo subito evidente dove si trovano dei centri di competenza ed eccellenza e dove si annida l’inefficienza. Ecco spiegato perché l’introduzione di questi strumenti è avversa a molti manager, specie nelle organizzazioni di vecchio stampo. Inoltre è immediato anche tracciare la mappa delle competenze delle persone e verificarle sul campo.
Insomma il BPM può essere il cavallo di Troia per introdurre nuove tecnologie e scardinare alcuni vecchi modi di pensare frutto più di tradizione che del risultato di un’analisi verificata sul campo. Trasparenza, processo, mappa delle competenze, e a questo punto aggiungerei anche un’altra sigla non meno importante: ROI, Return Of Investment.
Pensandoci bene se davvero si mettesse in opera tutto questo si rischierebbe di avere troppa efficienza e magari un giorno ritrovarci ad avere un unico sportello comunale per tutte le nostre necessità, a scoprire che basterebbe un decimo della spesa per la pubblica amministrazione per coprire le necessità di tutta la nazione. In effetti, mi rendo conto che è un pensiero pericoloso, legato all’ancora più pericolosa ed ignota Tecnologia dell’Informazione che tanto bene fanno la maggior parte dei nostri amministratori ad ignorare a tutti i livelli.
E meno male che Knowledge Box si tiene solo due volte l’anno e le parole del professor Corso restano confinate all’ambiente accademico. Parafrasando una frase famosa, “La realtà è un’altra cosa”.
I precedenti interventi di G.C. sono disponibili a questo indirizzo