Roma – In quella strategia a lungo termine con cui la Cina spera di rendersi sempre più indipendente dalle tecnologie made in USA, e in cui si vanno a collocare i tentativi di sviluppare un proprio standard DVD e di diffondere l’uso di Linux come alternativa ai sistemi operativi proprietari, un posto di primo piano è rivestito dal così chiamato “Dragon Chip”, un processore il cui progetto è stato in larga parte finanziato dal Governo cinese.
Qualche giorno fa il giornale locale People ‘s Daily Online ha riportato la notizia secondo cui il misterioso chip ha fatto il suo primo debutto sul mercato all’interno di una piattaforma server, denominata “Soaring Dragon”, anch’essa sviluppata totalmente in Cina dall’azienda Shuguang in collaborazione con la Computer Institution of the Chinese Academy of Science (CI-CAS). Questa piattaforma si compone, dal lato hardware, di una scheda madre che ospita il Dragon Chip, e dal lato software di una versione di Linux.
Con toni quasi propagandistici, il quotidiano cinese descrive la CPU dagli occhi a mandorla come un chip “dalle prestazioni davvero valide, dal funzionamento stabile e affidabile e del tutto sufficiente a soddisfare le esigenze operative di un server e di un sito Web”.
Da quelle poche informazioni sul chip rilasciate lo scorso anno dalla CI-CAS si può in ogni caso intuire come al momento il Dragon Chip sia particolarmente adatto ai server di fascia bassa: i primi prototipi del chip avevano infatti una potenza equiparabile a quella di un Intel 80486, anche se è lecito attendersi che gli scienziati cinesi siano riusciti, a quasi un anno di distanza dal rilascio delle prime specifiche, a mettere qualche cavallo in più sulla loro CPU. Nel vecchio documento del CI-CAS si prevede che il chip raggiunga, durante il 2003, una potenza di calcolo simile a quella di un Pentium III, mentre nel 2005 dovrebbe addirittura “mettersi in pari” con i chip più avanzati sul mercato.
L’ente scientifico cinese sostiene che l’architettura del Dragon Chip è “totalmente compatibile con quella MIPS” e – cosa particolarmente interessante – utilizzerebbe un sistema di “codifica e decodifica binaria” in grado di far girare programmi per PC. Quest’ultima caratteristica sembra suggerire che il Dragon Chip utilizzi un qualche sistema di “code morphing”, quella tecnica che permette ai chip Crusoe di Transmeta di tradurre “al volo” le istruzioni x86 nel corrispondente set di istruzioni VLIW (Very Long Instruction Word). La tecnica del code morphing, che avviene integralmente via software, ha anche il vantaggio di non infrangere le proprietà intellettuali del codice emulato.
Per il momento sembra alquanto improbabile che il Dragon Chip possa costituire un vero pericolo per Intel e AMD, soprattutto per quel che riguarda il mercato di massa e il segmento delle CPU hi-end (dove i due chipmaker stanno proponendo architetture a 64 bit). Sembra più probabile che il Dragon Chip possa rappresentare una buona alternativa ai chip x86 nella fascia dei server a basso costo e a basso consumo, ed eventualmente anche in quella dei cluster di server economici basati su software open source.
Il Ministero dell’Industria cinese afferma che il mercato dei semiconduttori, che nel continente rosso sta crescendo ad un ritmo del 35% annuo, farà della Cina il secondo più grosso produttore di chip entro il 2010. Un obiettivo che, secondo il Peoplès Daily, potrà essere raggiunto solo attraverso la produzione di chip sui quali la Cina detenga le proprietà intellettuali. Rivoluzione rossa in chiave moderna?