Non sono poche le azioni dell’autorità italiana delle TLC, quella che in teoria dovrebbe guidare un processo di liberalizzazione del settore garantendo i soggetti più piccoli a tutela di pluralità d’offerta e concorrenza, che lasciano spazio al dubbio che questa scriva regole nell’interesse dei due maggiori operatori, così rendendoli ben più ricchi di quanto non siano ed a discapito tanto dei consumatori che di quelle altre aziende che credono di poter contare sul diritto per poter fare impresa in Italia.
I contorni di un trend di approvazione di certe regole che sembrano scritte su misura di alcuni – o viceversa di non applicazione di certe altre che sarebbero a sfavore degli stessi – appare sempre meno sfumato ormai da tempo; ed è in questo scenario di incertezza che esce la notizia dell’ultima tegola, quella con cui si rimodulano le “tariffe di terminazione”.
Prego vivamente chi inizia a leggere questo articolo di prendersi una pausa caffè, e di seguire con attenzione e fino in fondo fatti ed argomentazioni: sono temi sì un po’ complessi e forse noiosi nella lunga trattazione che segue, ma toccano direttamente le tasche di tutti i consumatori italiani e gli interessi di molti piccoli imprenditori che vorrebbero concorrere sulla base di regole certe ed uguali per tutti, e potrebbero svelare l’origine dei profitti mostruosi di chi sul filo delle regole ci scrive il business plan.
Iniziamo con lo spiegare di cosa stiamo parlando: le “tariffe di terminazione” sono quegli importi che vanno pagati per il tratto di telefonata che passa sulla parte finale del “filo”, la rete di chi riceve una chiamata. Facendo un esempio, nel caso di una telefonata dell’utente Tizio da un telefonino o telefono fisso dell’operatore X verso l’utente Caio che ha un telefonino con Y, poniamo che Tizio paghi 15 centesimi al minuto: una parte di questa cifra dovrà essere versata dall’operatore X all’operatore Y, che gestisce la linea dell’utente Caio che riceve la chiamata. Questo avviene, con tariffe molto differenti, sia nel caso di reti fisse che di reti mobili.
Il principio (corretto) che determina questa prassi, è che l’operatore ricevente ha un costo di gestione della propria rete mobile nonché un ammortamento pluriennale del costo iniziale sostenuto per realizzarla, ragion per cui se qualcuno – per parlare con un suo cliente – transita sulla sua rete, questo deve pagare. Normalmente gli utenti finali non sanno nemmeno che esistono, tali tariffe, giacchè il pagamento delle stesse è regolato tra gli operatori. Tizio sa solo che, per chiamare Caio, paga in bolletta o sulla sua scheda ricaricabile 15 centesimi al minuto.
Ora, logica vuole che più “vecchia” sia questa rete e più numerosi siano i clienti dell’operatore che la possiede, meno dovrà essere onerosa questa “tassa d’attraversamento”. Difatti la Commissione UE, che dirama le direttive verso le singole authorities, sposa proprio tale principio dicendo che queste tariffe di terminazione debbano essere quanto più vicine possibile ai costi reali (l’ammortamento più costo di gestione, visti al passaggio precedente), e che debbano essere tenute alte solo per gli operatori nuovi entranti onde consentirgli di misurarsi nel fare concorrenza ad aziende molto più grandi.
Ragionando un po’ meglio sugli effetti di questa regola, la logica vuole che – nel caso questa “tassa” si discosti di molto dai costi reali – ne deriva un sovrapprofitto che va soprattutto a vantaggio degli operatori più grandi in termini di numero di clienti: difatti sarà verso questi che i clienti degli operatori più piccoli effettueranno, verosimilmente, il maggior numero di chiamate.
Spiego meglio questo concetto con un altro esempio: poniamo che tre operatori di telecomunicazioni X, Y e Z abbiano tutti insieme 100 utenti, che questi utenti si conoscano e telefonino tra loro in modo omogeneo, e che le tariffe di terminazione siano uguali per tutti e tre. Di questi utenti, poniamo che solo 10 siano clienti del piccolo Z e gli altri siano divisi equamente 45-45 tra gli altri due operatori maggiori. Ora, se i due “grandi” probabilmente vedranno compensarsi reciprocamente le tariffe di terminazione che dovrebbero riconoscersi a causa delle chiamate tra utenti dell’uno e dell’altro, è viceversa realistico che l’operatore più piccolo dovrà pagare a ciascuno dei grandi una somma 4,5 volte superiore a quella che riceverà da questi per le terminazioni sulla propria rete.
È per questo motivo che, da tempo, in Europa si attua una asimmetria delle tariffe di terminazione a vantaggio dei più piccoli o nuovi entrati: quelli che hanno per definizione meno clienti.
Ma storicamente esiste anche un’altra forte asimmetria, ed è quella tra le tariffe di terminazione delle reti fisse e quella delle reti mobili: la ragione iniziale era quella dei diversi costi di realizzazione delle reti fisse e mobili nonché dei costi di asta per le licenze UMTS, comparati ai minori costi teorici necessari a fornire servizi su rete fissa.
Per chiarezza, dunque, le terminazioni si pagano anche tra reti diverse (un operatore di rete fissa paga la terminazione all’operatore di rete mobile del chiamato, e viceversa), e le tariffe di terminazione delle reti mobili sono sempre molto più elevate delle corrispettive per reti fisse. Inoltre è ormai da anni accentuata la tendenza crescente a chiamare verso i numeri cellulari (visti ormai come “numeri personali”) per essere certi di trovare a colpo sicuro il chiamato, anche nel caso di chiamate da fisso.
Ora, se tutto questo intreccio di chiamate tra reti fisse e mobili e diverse “tasse” di terminazione tra diverse reti, si svolgesse in uno scenario “normale” e si rispettasse il principio dell’orientamento al costo per chi non ha bisogno di “sovvenzioni”, tutto quello che vi ho appena descritto sarebbe il naturale svolgersi delle cose.
Ma non siamo in uno scenario normale e la distorsione, invece, c’è su almeno tre punti:
1. Il settore delle telecomunicazioni fisse è altamente competitivo perché privo di barriere all’accesso (chiunque può fare l’operatore di telefonia fissa), come dimostrato da prezzi (e conseguenti ricavi ed utili) costantemente decrescenti da molti anni.
2. Di converso, il settore delle telecomunicazioni mobili è un “club esclusivo” a cui non si può accedere, e macina profitti straordinariamente e continuamente elevati, con un trend di discesa appena accennato.
3. I costi reali di passaggio sulle reti mobili dei grandi operatori sono MOLTO più bassi delle tariffe di terminazione fissate dall’AGCom.
Tutti e tre i punti sopra esposti sono assolutamente dimostrabili in modo ben più esaustivo di come argomenterò di seguito, ma sarebbe davvero lungo e noioso esporre tutto in questa sede.
Il primo punto è cosa universalmente nota, esistono svariate decine di operatori telefonici ed internet provider che si affrontano sul mercato.
Sul secondo punto, anche i più ingenui si sono resi conto che i finti operatori virtuali (pochissimi, attivati perché c’era il rischio di una pesante condanna da parte dell’autorità Antitrust, condanna che il garante non ha inflitto fidandosi di impegni poi lasciati inattuati da parte degli operatori imputati nel procedimento) entrati sul mercato italiano non sono in grado di competere né di far scendere i prezzi, in quanto non sono altro che dei meri rivenditori. Discorso simile vale per i servizi a valore aggiunto via sms la cui pubblicità ci bombarda in tv e sulle riviste: chiunque si sarà accorto che i fornitori di loghi e suonerie sono da sempre quei pochi (una decina in tutto) e che l’offerta è livellata sui medesimi prezzi per loghi, suonerie monofoniche e polifoniche, nonché giochini java. Il giro è ristretto perché, anche in questo caso, sono gli operatori mobili a decidere chi può vendere loghi e suonerie e chi no, nonostante la normativa non dica che abbiano questo diritto. Quando la competizione è scarsa i prezzi sono notoriamente alti, ma in questo caso l’allineamento dei prezzi meriterebbe indagini più approfondite.
Riguardo il terzo punto, basti dire che l’autorità francese ha calcolato in 4 centesimi i costi attuali dei suoi operatori maggiori, ed in 2,5 centesimi i costi proiettati al 2011. In Italia le tariffe appena fissate sono più che doppie, e gli operatori francesi hanno meno clienti di quelli italiani su cui ammortizzare i costi. Ma se non bastasse posso aggiungere che l’AGCom possiede carte, acquisite dal procedimento in antitrust che ho prima menzionato, da cui si evince che i maggiori operatori italiani mentono deliberatamente quando comunicano i costi su cui poi si basa l’authority per fissare le tariffe. L’autorità, dunque, sarebbe ben cosciente delle differenze tra costi reali e dichiarati: perché fa questo regalo agli operatori mobili?
L’effetto perverso di tutto questo scenario è che una moltitudine di operatori più “poveri” (gli operatori fissi), sommata agli operatori mobili minori, paga un balzello che gonfia di sovrapprofitti i bilanci dei due più grandi operatori mobili, che diventano sempre più forti dei piccoli concorrenti. Questi colossi sono così in grado di generare flussi di cassa ed utili paurosi che, come nel caso di Vodafone, gli possono permettere di andare a fare shopping acquistando operatori fissi (vedi il caso di Tele2), incrementando ulteriormente le loro quote di mercato.
Vi siete accorti che non è mai avvenuto, al contrario, che un operatore fisso si comprasse un operatore mobile?
Il problema non è “solo” sul fronte dei sovrapprofitti: l’impossibilità di accedere al mercato mobile, fa sì che le decine di operatori fissi non possano offrire sul mercato servizi convergenti (internet, telefono fisso e sim) come invece stanno facendo gli operatori mobili, lasciati liberi a questo punto di fare offerte “a pacchetto” che gli operatori fissi non possono replicare.
In proposito alla sproporzione tra le tariffe di terminazione ho voluto raccogliere una opinione terza, contattando a Bruxelles Innocenzo Genna, Presidente di ECTA (European Competitive Telecommunications Association), il quale sulla nuova delibera AGCom ha dichiarato: “La differenza tra valori di terminazione fissa e mobile è troppo elevata: gli operatori mobili ricevono fino a 10 volte di più degli operatori fissi new entrants. Tale distanza non può essere imputata alla differenza dei costi reali (gli operatori di rete fissa new entrants hanno costi di investimento relativamente maggiori rispetto ai mobili ed all’incumbent Telecom), è semmai il risultato di diverse metodologie di contabilità dei costi. Si tratta di una situazione che può nuocere gravemente sul piano competitivo, perché consente agli operatori mobili – in particolare al duopolio TIM-Vodafone – di monopolizzare i servizi convergenti fisso-mobile. Occorrerebbe invece arrivare ad una simmetria delle tariffe tra fisso e mobile nel più breve tempo possibile”.
Anche un accorato appello dell’AD di H3G Vincenzo Novari su questo argomento, pubblicato ieri, in un passaggio recita: “(…)creando le premesse per la realizzazione di un duopolio di fatto nelle tlc mobili” . In realtà H3G protesta non solo per la accelerata riduzione – solo in capo a lei – delle tariffe di terminazione, ma anche per un immenso regalo che l’authority sta facendo agli operatori più grandi, consentendo loro di iniziare ad adoperare la tecnologia UMTS sulle frequenze del GSM. Frequenze che H3G non possiede, che sono molto pregiate per la capacità di penetrare negli edifici, e che gli operatori storici non hanno pagato (se non cifre assolutamente ridicole rispetto a quelle dell’asta UMTS).
Non sembra proprio una coincidenza, il fatto che sia Genna che Novari paventino il rischio di un duopolio. Il rischio che Telecom e Vodafone conseguano utili enormemente superiori al normale, grazie alle tariffe di terminazione e grazie al loro “mercato recintato”, e che li adoperino per finanziare l’ulteriore acquisizione di quote di mercato, è concreto ed immediato. Tutti gli addetti del settore se ne sono accorti, tranne – pare – il Presidente dell’Autorità Corrado Calabrò, il cui unico pensiero è quello di trovare una formula condivisa per separare la rete da Telecom Italia. Presidente, mi rivolgo qui a Lei per aggiungermi ai molti che sono lieti che sia giunto finalmente a condividere l’importanza del tema “separazione” e che la NGN dovrà portare la fibra fin dentro le abitazioni, ma i problemi delle telecomunicazioni italiane non sono tutti riconducibili a questo. La latenza cronica dell’istituzione da lei presieduta nell’affrontare con efficacia le distorsioni della concorrenza sta uccidendo le piccole e medie imprese del settore. Una rete separata quando saranno rimasti solo due operatori non servirà a nessuno.
Tornando a rivolgermi ai lettori, lo scenario odierno che parrebbe intuire dalla lettura degli avvenimenti sarebbe quindi il seguente: in AGCom porte spalancate per ascoltare le istanze di Telecom Italia e Vodafone, sempre più beneficiarie di cortesie regolamentari (per quanto mi sforzi, non saprei come altro chiamare le recenti delibere); la stessa autorità chiuderebbe concettualmente il portone quando si tratta di ascoltare le proteste di tutti quei piccoli che vorrebbero parità di trattamento per entrare nel mercato delle telecomunicazioni mobili e poter competere, giacché nessuna delle istanze di questi soggetti si tramuta mai in una delibera in loro favore né, quando si riscontra una violazione dei “soliti due”, nella netta applicazione dell’esistente. In passato, proprio quando le cose si sono fatte clamorose, al limite l’autorità si è adoperata per cercare una mediazione di tipo “politico”, come se un abuso potesse divenire un “mezzo abuso”.
Al momento, dunque, mi risulta che facciano (figurativamente) la fila a via delle Muratte, sede romana dell’autorità, decine di operatori fissi ed ISP che vorrebbero poter diventare operatori mobili virtuali per offrire servizi di convergenza. Al momento ciò è impossibile, e siamo il solo paese europeo a non aver nemmeno un MVNO nonostante se ne legga il contrario (Presidente Catricalà, l’autorità Antitrust da Lei presieduta avrebbe di nuovo cose da dire in merito, vero? E che cosa sta aspettando, se posso permettermi di chiederglielo?). Insieme a questi primi soggetti, sono nella stessa situazione di attesa centinaia di aziende che vorrebbero dire la loro nel mercato dei servizi premium via sms, quelli che si offrono su quella decade 4 che l’AD di un operatore mobile prega di “non rendere interoperabile” quando scrive di suo pugno al Presidente dell’AGCom.
Tutte queste aziende stanno in fila in piedi, con il numeretto in mano, e hanno da un pezzo smesso di ridere alla vecchia battuta del “mercato italiano altamente concorrenziale” che va ancora bene solo per alcuni giornali. E iniziano ad essere stufe dell’attesa anche perché, mentre fanno la fila per essere ricevute, vedono entrare ed uscire dall’Authority i dirigenti di alcuni operatori che si muovono come fossero a casa loro; spesso li vedono perfino uscire per prendere un caffè fuori al bar, proprio con quegli interlocutori con cui si sta aspettando di parlare. E quei dirigenti dell’istituzione talune volte finiscono per diventare dirigenti del grande operatore che fino ad un minuto prima era sottoposto ai loro controlli. È vero che non sia molto naturale che tra controllori e controllati esista una simile cordialità, ma qui spesso ci si trova tra ex o futuri colleghi, e questo rischia di far perdere il senso della misura.
In conclusione, se è vero che lo sviluppo economico di un paese passa per la capacità della sue imprese di innovare e crescere, in mancanza di segnali da parte dell’autorità competente è forse giunto il momento di appellarsi al nuovo Governo perché intervenga, e lo faccia in modo più incisivo di come non abbia finto di intervenire il Governo precedente (che con una mano ha cancellato i costi di ricarica, e con l’altra ha lasciato aumentare le tariffe e raddoppiato la durata delle licenze UMTS).
Presidente Silvio Berlusconi, Sottosegretario Gianni Letta, Ministro Giulio Tremonti, Ministro Claudio Scajola, Sottosegretario Paolo Romani: come voi stessi dite, è arrivato il momento di cambiare l’Italia ed investire sul futuro, ed il futuro nelle telecomunicazioni – un settore che vale alcune decine di miliardi di Euro solo in Italia, oggi concentrato nelle mani di poche aziende straniere – è figlio di una moltitudine di piccole e medie imprese italiane che sarebbero in grado di competere ove correttamente tutelate, trainando la crescita del PIL ed attraendo investimenti dall’estero.
Non è un sogno impossibile, quello di avere in Italia una Silicon Valley europea. C’è la stessa inventiva, la medesima microimprenditorialità, perfino lo stesso buon clima della California. Manca la certezza dell’applicazione di regole che favoriscano la crescita di quei piccoli campioni che oggi vengono uccisi per far sopravvivere delle imprese vecchie, e manca la possibilità reale di competere: dateci tutto questo e vedrete cosa siamo in grado di fare.
Qualcuno potrebbe arrivare a credere che l’Authority competente sia controllata dai controllati, ed impossibilitata a divincolarsi dalla presa. Il Governo darebbe un segnale molto grave se tacesse lasciando proteggere dei colossi elefantiaci che non competono alla pari, e che ormai rappresentano un modo passato di fare impresa ed offrire servizi che sia i consumatori che gli imprenditori italiani vorrebbero archiviare.
Attendiamo fiduciosi.
Capitano Nemo
Morse