Il quantum computing sarà anche un orizzonte ancora lontano per l’informatica in quanto tale, il qubit avrà anche le paturnie quando si tratta di contenere stabilmente le informazioni in formato binario, ma c’è una tecnologia che fa uso delle proprietà dei quanti di energia che appare molto più vicina alla concretizzazione , e tale tecnologia è la crittografia quantistica.
Ricercatori di Cambridge hanno infatti pubblicato il lavoro “Distribuzione pratica di chiavi quantistiche basata su fotodiodi a cascata” sul New Journal of Physics , definendo una serie di misure che è possibile adottare per adottare la crittografia quantistica a componenti elettronici non necessariamente avanzatissimi e dai costi esorbitanti.
Se infatti per applicare misure di crittografia quantistica occorre in genere utilizzare laser e tecnologia altamente sofisticata, con possibilità di trasferimento di informazioni ridotte sia nelle quantità che nelle distanze coperte, il nuovo sistema ideato dagli esperti Toshiba e dell’università britannica prevede l’utilizzo di un laser “attenuato” come fonte del fascio di fotoni, e un sensore compatto (basato sulla tradizionale tecnologia al silicio) per ricevere le informazioni mantenendo nel contempo le caratteristica di estrema sicurezza garantite dalla crittografia quantistica.
“Con questi avanzamenti – scrivono i ricercatori – noi crediamo che la distribuzione quantistica di chiavi crittografiche sia ora utilizzabile per la diffusione di comunicazioni teoreticamente sicure a banda larga”. L’impiego dei fotoni per registrare e successivamente inviare le chiavi con cui i dati da trasferire vengono cifrati sarebbe dunque in procinto di lasciare i laboratori e approdare sul mercato , con prestazioni misurabili in 10 Mbps di velocità su una distanza di 20 chilometri, valori cento volte superiori rispetto all’efficienza delle comunicazioni quantistiche raggiunte in precedenza.
Le comunicazioni sicure ad alta velocità faranno sicuramente gola a governi, agenzie di intelligence, banche e a chissà quanti altri soggetti che hanno tutto l’interesse perché questo genere di tecnologie si diffonda, ma il professore Hoi-Kwong Lo dell’Università di Toronto mette in guardia sul fatto che in realtà la crittografia quantistica non è così sicura da essere virtualmente a prova di hacker .
Nel suo lavoro, Lo ha scoperto che i sensori di fotoni che da un lato trasmettono e dall’altro ricevono le informazioni di cifratura non si “accendono” nello stesso identico istante, e sapendo che uno dei due sensori si attiva in ritardo rispetto all’altro (anche se è un ritardo misurabile nell’ordine di poche centinaia di picosecondi) un malintenzionato non dovrebbe fare altro che dirottare il segnale dell’altro sensore verso il suo, su una fibra ottica più corta rispetto a quella del percorso originario, per “sniffare” l’informazione prima di farla arrivare a destinazione come preventivato.
Alfonso Maruccia