Si sentono osservati, limitano la propria vita di relazione a distanza, temono che i dati immagazzinati da operatori telefonici e provider possano ritorcersi contro di loro. Numerosi cittadini tedeschi sono guardinghi: le pratiche di data retention li impensieriscono e influiscono sulla loro quotidianità .
A fotografare un quadro della società civile tedesca è un sondaggio descritto come “rappresentativo” condotto da Forsa Institut e commissionato da due associazioni che tutelano i diritti dei cittadini, da un’ associazione di giornalisti e da JonDos GmbH , azienda che propone soluzioni di anonimizzazione. È la prima volta che questi effetti della conservazione dei dati delle comunicazioni dei cittadini vengono evidenziati in uno studio di questo tipo in uno dei grandi paesi europei. Sono 1002 i cittadini intervistati nei giorni scorsi, il 73 per cento dei quali si è dimostrato consapevole delle vigenti norme che regolano la conservazione dei dati presso i provider e presso gli operatori telefonici.
È questa una consapevolezza che incide sull’atteggiamento : l’11 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver rinunciato ad utilizzare il telefono o l’email per effettuare delle comunicazioni nella propria ordinaria vita di relazione. Non è dato sapere quale sia il motivo che li mette in allerta: certo è che la natura della privacy è mutata rispetto al semplice “diritto ad essere lasciati soli”, certo è che un decimo dei cittadini tedeschi teme per la propria reputazione, una reputazione sbriciolata in frammenti che può convergere in profili, in classificazioni stereotipate, in stigmi. Il 6 per cento dei cittadini tedeschi ha effettivamente riscontrato un affievolirsi della vita di relazione mediata dalla tecnologia: imputano questo cambiamento alle norme che regolano la data retention.
Più della metà dei cittadini tedeschi, invece, interpreta il diritto alla riservatezza in maniera più stringente, si limita a vigilare sulle comunicazioni che si potrebbero tramutare in dati sensibili che li riguardano: si preoccupano di tutelare la propria immagine dal punto di vista della sfera più personale e delle relazioni più significative. Il 52 per cento degli intervistati ha ammesso che, qualora avesse la necessità di rivolgersi ad uno psichiatra, ad un centro di aiuto contro le dipendenze o ad un consulente matrimoniale esiterebbe nell’utilizzare dei mezzi di comunicazione le cui tracce verrebbero conservate per sei interminabili mesi, magari esposte all’incuria degli operatori o ad occhi indiscreti.
Le associazioni che hanno commissionato il sondaggio chiedono a gran voce l’abrogazione della legge tedesca sulla data retention , legge che scruta nella vita dei cittadini e che sta iniziando a comprimere la loro spontaneità. La società della sorveglianza spaventa anche i massimi esperti in materia: sull’argomento Stefano Rodotà , già Garante della privacy, si espresse già nel 2003, spiegando appunto che “sapersi scrutati riduce la spontaneità e la libertà. Riducendosi gli spazi liberi dal controllo, si è spinti a chiudersi in casa, e a difendere sempre più ferocemente quest’ultimo spazio privato, peraltro sempre meno al riparo da tecniche di sorveglianza sempre più sofisticate. Ma se libertà e spontaneità saranno confinate nei nostri spazi rigorosamente privati, saremo portati a considerare lontano e ostile tutto quel che sta nel mondo esterno. Qui può essere il germe di nuovi conflitti, e dunque di una permanente e più radicale insicurezza, che contraddice il più forte argomento addotto per legittimare la sorveglianza, appunto la sua vocazione a produrre sicurezza”.
La legge tedesca sulla data retention altro non è che il recepimento di una delle più controverse direttive europee . Contro quella disposizione si stanno muovendo in tanti : il timore non è soltanto la costituzione di un grande fratello che nel tempo possa proiettare il proprio occhio oltre le finalità antiterroristiche del provvedimento, ma anche l’affermarsi di una cultura del controllo, con tutte le relative conseguenze sulla socialità e la libertà degli individui.
Le associazioni portano a testimonianza della loro richiesta di abrogazione il fatto che il 46 per cento degli intervistati consideri la data retention uno strumento troppo invasivo, che consideri sbilanciato il delicato equilibrio tra il diritto alla sicurezza e il diritto alla riservatezza. Una visione peraltro sposata anche in sede europea, fin qui vanamente, dai garanti europei della privacy, che da anni tentano di arginare il ricorso alla data retention, ritenuta una intercettazione a tutti gli effetti : come tale alla conservazione dei dati sulle comunicazioni si dovrebbe far ricorso solo in casi di “urgenza e necessità inderogabili” e non certo nelle forme del controllo di massa.
A contrastare le speranze degli abolizionisti, però, il fatto che per il 48 per cento degli intervistati i sei mesi di conservazione dei dati relativi alle comunicazioni rappresentano un “buon compromesso” per vivere sicuri. Non è dato sapere quanti tedeschi, preoccupati o meno della conservazione dei dati, rendano partecipe tutto il mondo delle proprie conversazioni telefoniche, quel che è chiaro però è che molti lo fanno senza preoccuparsene troppo.
Gaia Bottà
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