Che ruolo può svolgere la Filosofia nell’era di Internet? Punto Informatico ha interpellato Luciano Floridi , Professore di “Information Ethics” e “Philosophy of Information” ad Oxford, su come l’argomento tocchi Wikipedia, Google e gli altri fenomeni di massa dell’IT.
Punto Informatico: In questo momento quali sono le principali questioni aperte nella Filosofia dell’Informazione?
Luciano Floridi: Temo che la lista sarebbe lunga, tecnica e percio’ forse un po’ tediosa per le lettrici e i lettori di Punto Informatico. Provero’ quindi a riassumere solo due punti salienti, semplificando.
Primo punto. Il rinnovamento della filosofia, una delle discipline più antiche e conservatrici del nostro sapere. Farla oggi, con metodologie (come i livelli di astrazione), teorie (come quella sui sistemi multiagente) e soluzioni tecniche (come quelle pertinenti le varie logiche create in ambito AI) fornite dall’informatica, permette di rinnovare lo studio di problemi secolari e aggiornare approcci concettuali ormai calcificatisi.
PI: Ad esempio?
LF: Si pensi alla questione dell’identità personale, e le classiche domande su chi siamo e chi vorremmo essere, o quanto la nostra identità dipenda dai nostri corpi, memorie o interazioni sociali.
Poter costruire e sperimentare molteplici identità online getta nuova luce su vecchie teorie e apre prospettive di indagine molto interessanti. Cambia inoltre il vocabolario concettuale, che si sta svecchiando e raffinando anche grazie all’IT (si pensi ai concetti di agente, rete, interazione, telepresenza e così via).
Secondo punto. La filosofia dell’informazione puo’ e deve contribuire, con la sua capacità di analisi, comprensione e argomentazione logica, a chiarire e risolvere i nuovi problemi nati oggi da una società che definiamo appunto dell’informazione, e le nuove sfide dirette (si pensi al vandalismo informatico) o indirette (tipo la bioingegneria) poste dallo sviluppo delle tecnologie digitali. Gli esempi si potrebbero facilmente moltiplicare, ma forse la gestione e protezione della privacy sui dati personali rappresenta quello più ovvio e noto.
PI: Nell’articolo sulla Tragedia dei beni comuni digitali riprende il classico esempio di un bene comune considerato inesauribile (il mare), ma oggi in crisi per inquinamento e sostenibilità alimentare, paragonandolo al Web, a sua volta a rischio per la saturazione di banda da parte degli utenti P2P in caso di superamento del Digital Divide nella Infosfera. Quali soluzioni avete individuato tramite la disciplina della Etica Informatica?
LF: Ampliare l’approccio ambientalista anche alle realtà sintetiche e artificiali. L’ambientalismo è spesso visto in contrasto con lo sviluppo tecnologico, ma in realtà sono due “forze buone”. Devono allearsi contro i veri nemici: lo spreco delle risorse, la distruzione di ricchezze naturali, storiche e culturali, l’inquinamento e impoverimento degli ambienti.
Manca ancora la consapevolezza che le giuste sinergie tra tecnologie informatiche e tali valori possono portare a soluzioni molto efficaci nello sviluppo e nel mantenimento ottimali sia degli ecosistemi biologici, sia di sistemi sintetici o artificiali altrettanto complessi come la Rete, sia di tutte le realtà costruite dall’uomo, basti pensare all’ecosistema del mondo aziendale.
La società non solo va sempre più globalizzandosi, sta anche aumentando l’interdipendenza: i beni comuni sono non solo biologici o digitali, ma soprattutto l’esito di interazioni simbiotiche tra il naturale e l’artificiale. Caso ben rappresentato dalla medicina e dalla sua dipendenza dall’IT, la cosiddetta e-Health. Ecco, in questo ampio contesto, la risoluzione della tragedia dei beni comuni digitali passa attraverso la consapevolezza e l’implementazione di valori ambientalistici.
Quello che ho definito come ambientalismo sintetico mostra quanto ecologia e tecnologia possano essere il binomio vincente per il progresso di una società dell’informazione avanzata.
PI: Come si inquadra un fenomeno quale le enciclopedie collaborative di natura wiki nell’epistemologia contemporanea? Vale il “Vox populi, vox dei”?
LF: Le enciclopedie collaborative, Wikipedia ma non solo essa, sono il fenomeno forse più vistoso di una trasformazione radicale più profonda ma anche meno visibile, nello sviluppo della conoscenza e quindi delle sua interpretazione.
Semplificando molto, dal Seicento, con Cartesio, fino alla metà del Novecento, con Wittgenstein, la conoscenza è stata di solito interpretata come un fenomeno stand-alone, si direbbe in informatica, cioè come se il soggetto conoscitore fosse un agente singolo, isolato e scollato dall’ambiente. Oggi, grazie alla rivoluzione digitale, stiamo comprendendo sempre meglio come essa si sviluppi, si organizzi, possa essere gestita e fruita al meglio soltanto in modalità online, ovvero tenendo conto dei sistemi distribuiti e multiagente di cui necessita.
Cartesio che identifica nell’ “Io penso” la soluzione del fondamento della conoscenza, solo nella sua stanza davanti al focolare, o Newton che solo, sotto l’albero di mele, scopre la gravitazione universale, sono vignette al massimo di valore pedagogico elementare. Di fatto il sapere è un’impresa collaborativa, ci sono sempre meno geni isolati e sempre più reti di collaborazione, scuole, gruppi di ricerca.
Cio’ non significa tornare alla vecchia idea per cui, se tutti la pensano in un certa maniera allora le cose devono stare in quel modo. Se così fosse, l’astrologia, data la sua popolarità, sarebbe una scienza invece che una frottola. La conoscenza è sì distribuita, multiagente e contestualizzata, ma le sue dinamiche sono anche molto strutturate e gerarchizzate, per ragioni di fondi, di capacità tecniche sempre più specialistiche e quindi rare, e quindi per ragioni di credibilità e di riconoscimento.
Tornando alle enciclopedie collaborative, esse sprigionano forze altrimenti non sfruttabili, dalle competenze scientifiche del grande laboratorio, in grado di correggere una voce, alla passione di un neofita in grado pur sempre di apportare qualche miglioria a voci di suo interesse. Non devono tuttavia essere confuse con la ricerca e l’avanzamento del sapere.
PI: In che modo?
LF: Sono dei depositi di ciò che già sappiamo. Ogni miglioramento conta e fa accrescere la qualità e il valore del tutto. E tanto migliore sarà il loro funzionamento tanto più facile sarà progredire nell’esplorazione di quello che è ancora ignoto. Ma Wikipedia è la prima tappa del percorso, non l’arrivo. Se si tiene presente questo punto, non si può negare che la democratizzazione dell’informazione, anche attraverso le enciclopedie collaborative, sia un fenomeno molto positivo e di grande arricchimento e facilitazione della nostre vita intellettuale.
PI: I motori di ricerca sono la Pizia dei giorni nostri?
LF: Questa è un’idea molto suggestiva. Direi che l’analogia è pertinente per quanto riguarda alcuni usi che vengono fatti dei motori di ricerca. Google, per esempio, a volte sembra essere usato come un tempo si ricorreva ai vati, per cercare risposte a qualsiasi domanda prema all’interessato. Ancor peggio, una nuova generazione di utenti impazienti sembra implicitamente adottare un approccio molto pericoloso: se il vate/Google non ne parla significa che l’oggetto in questione non esiste o è comunque trascurabile ed insignificante. Il limite dell’analogia sta nel fatto che i motori di ricerca non si compromettono, non perchè danno risposte misteriose che necessitano di interpretazione, ma piuttosto perchè ci danno moltissime risposte non sempre compatibili tra loro, e tra le quali sta poi a noi scegliere.
Riprendendo la precedente domanda, se due voci enciclopediche (anche solo due voci di Wikipedia, una italiana e l’altra inglese sullo stesso argomento) discordano, come possiamo decidere? Serviva molta scaltrezza per interpretare la Pizia. Direi che la stessa scaltrezza, anche se per motivi diversi, deve ancora essere esercitata per usare i motori di ricerca con intelligenza.
PI: Quali letture consiglierebbe a chi volesse approfondire gli argomenti trattati in questa intervista?
LF: Quasi tutti i miei scritti sono disponibili presso il mio sito . Purtroppo sono quasi tutti in inglese. La buona notizia è che Massimo Durante, ricercatore dell’Università di Torino, sta preparando un’antologia in italiano degli scritti più importanti da me pubblicati nello scorso decennio nell’ambito dell’etica informatica. Uscirà per la Giappichelli di Torino tra alcuni mesi.
a cura di Fabrizio Bartoloni