Più di un esponente politico e anche qualche autorevole commentatore hanno di recente abbracciato in Italia l’idea che una sorta di “tassa a forfait” o licenza collettiva, per remunerare i titolari dei diritti, possa essere la soluzione alla libera condivisione di contenuti sul p2p eliminando così il problema della pirateria e garantendo allo stesso tempo la remunerazione dei titolari dei diritti. Una sorta di mediazione tra “no copyright” da un lato e il diritto di ricevere un compenso per l’opera prodotta e diffusa dall’altro. Ma siamo veramente di fronte alla soluzione o al contrario stiamo rischiando di riprodurre nell’online meccanismi già adottati e in via di superamento nel mondo fisico?
In primo luogo è utile sapere in quale contesto relativo ai trattati internazionali si pone il fenomeno della condivisione di opere protette legata alla rete internet (ad esempio il file sharing). La diffusione di opere in rete è distinta dal “broadcasting”, ovvero dal diritto di comunicazione al pubblico e si inquadra invece nell’ambito del diritto di messa a disposizione del pubblico, che copre tradizionalmente tutte le attività svolte in rete.
Internet è stata quindi considerata, nei trattati WIPO/OMPI e in sede di Direttiva EU sul copyright, come una piattaforma tecnologica molto diversa dai tradizionali broadcaster lineari come radio o TV, soprattutto per la grande innovazione dell’interattività.
Non a caso la scelta del legislatore è stata quella di definire il diritto di messa a disposizione del pubblico (che è il caso del p2p), come il diritto di autorizzare o vietare la messa a disposizione di opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente (on-demand quindi).
Limitandoci solo a questa valutazione sul piano normativo internazionale già sarebbe impossibile applicare al p2p norme che riguardano, ad esempio, la radiofonia assimilando la rete ad una grande e unica radio o TV alla quale accedere per poi “ascoltare” o “vedere” i contenuti senza il consenso preventivo dei titolari dei diritti (diritto ad equo compenso). Questo violerebbe i trattati internazionali sottoscritti dall’Italia e le Direttive europee citate. Un’eventuale riforma del diritto di messa a disposizione del pubblico dovrebbe quindi al limite essere proposta in sede di trattato WIPO/OMPI anche perché è evidente a tutti che una norma di tale portata dovrebbe essere adottata da tutti gli Stati firmatari, essendo per definizione internet e il p2p una piattaforma globale.
Entrando poi nel merito della proposta di forfetizzazione del pagamento dei diritti, ovvero la cosiddetta tariffa “flat” emergono significative contraddizioni, anche sul piano tecnologico, che vorrei analizzare nel dettaglio.
La definizione di una tariffa unica, che consentirebbe agli utenti di scambiare musica, film o software, tramite le reti peer to peer richiede la messa a punto di un sistema di ripartizione dei diritti di titolari del copyright che è in contrasto con le stesse opportunità offerte dalla tecnologia da un lato e dall’altro non andrebbe assolutamente a vantaggio delle nuove produzioni musicali, perché non farebbe altro che cristallizzare posizioni dominanti nel mercato tradizionale.
Va ricordato inoltre che se su siti come Myspace, YouTube, o Last fm, tanto per citare alcuni veri protagonisti del cosiddetto social networking, è possibile scoprire nuovi talenti anche grazie appunto all’operazione di socializzazione e ai fenomeni di raccomendation, il p2p (che non appartiene alla categoria dei social networking ma è una piattaforma distributiva, non dimentichiamolo) altro non è che un amplificatore di notorietà per chi è già famoso. Non a caso i brani più scambiati nel dato istante sono al 90% i brani più passati nelle radio oppure nuove release di artisti già noti e il restante 10% è catalogo non più ripubblicato o di difficile reperimento. Più o meno pari a zero è la presenza di nuovi artisti che usano il p2p per farsi conoscere ma che invece sono fortemente presenti su Myspace, Facebook ed altri siti ove colgono l’opportunità di farsi conoscere realmente da consumatori evoluti e attenti a valutare nuove proposte.
Tenendo conto di ciò affrontiamo il tema della ripartizione agli aventi diritto di questa presunta tariffa flat che sarebbe versata in maniera indistinta dagli operatori di telecomunicazione.
Se prendiamo a modello i meccanismi di ripartizione del cosiddetto equo compenso per copia privata, ovvero la nota blank levy su cd o le cassette vergini e oggi su memory stick, lettori mp3 ed altro, la ripartizione a cura delle società di collecting (SIAE e altre) avviene sulla base del fonomeccanico pagato, ovvero dei diritti d’autore versati dalle aziende per la produzione di cd musicali o oggi comunque di brani musicali per i quali hanno richiesto le licenze. Con tale parametro, l’unico in grado di giungere ad un sensibile grado di affidabilità tenendo conto del provento indistinto che giunge alle società di collecting dagli utilizzatori, le aziende che producono più cd musicali ovvero dispongono di una maggiore market share sul mercato delle vendite di dischi, ottengono anche le maggiori quote di copia privata, così come gli autori più venduti ottengono la quota parte più elevata nella propria ripartizione.
Altri sistemi proposti per remunerare gli aventi diritto con la flat per il file sharing da EFF (Electronic Frontier Foundation) sono anche peggio, perché basando i criteri su meccanismi di calcolo che tengono conto delle classifiche di vendita o delle charts radiofoniche, di fatto porterebbero a ripartire i diritti della cosiddetta flat per il p2p sempre alle aziende ed agli autori che sono più presenti nelle classifiche e quindi, paradossalmente, chi già incassa diritti ne raccoglierebbe sempre di più, mentre i diritti di chi è agli inizi di carriera o produce solo un cd ogni tre anni finirebbero in un calderone irripartibile perché troppo complicato da identificare.
Un sistema di flat generalizzata e compensata a forfait genererebbe solo maggiori ricavi per grandi major e artisti famosi che dispongono dei maggiori cataloghi, a discapito degli artisti emergenti che mai (o poco) potrebbero reclamare da un sistema a forfait che per definizione ricompenserebbe solo i grandi numeri.
Non solo, la flat ucciderebbe interessanti modelli come i creative commons, perché per un artista o etichetta non sarebbe più possibile applicare la distinzione tra non-commercial e commercial perché comunque le opere verrebbero diffuse senza controllo e in più non valorizzerebbe la produzione qualitativa rispetto al prodotto di massa. Se infatti la casa discografica ottenesse un ricavo generico, perché dovrebbe produrre qualcosa di nicchia o di qualità, basterebbe produrre una hit radio track per ottenere la testa delle classifiche radiofoniche e quindi disporre di una maggiore quota di ripartizioni dalle flat.
Diverso sarebbe il caso nel quale, come peraltro già avviene con progetti in fase di sviluppo e alcuni già sul mercato, la rete di file sharing fosse una rete centralizzata con un sistema di condivisione di contenuti tra utilizzatori che aderiscono al servizio e che pagano un abbonamento, tipo una flat mensile. I sistemi di filtraggio basati sulle cosiddette impronte dei brani (finger prints), attivi sulla rete, tipo la tecnologia di Audible Magic per fare un esempio, consentirebbero agli utenti di condividere i materiali autorizzati le cui impronte sarebbero archiviate nel data base del servizio p2p, impedendo quindi l’uploading di opere abusivamente riprodotte, tenendo traccia delle transazioni e potendo cosi anche ripartire i diritti ai titolari del copyright.
Tutte le aziende o gli artisti che avrebbero autorizzato parte o tutto il repertorio ad essere diffuso nel sistema sarebbero ricompensati dal servizio per ogni download realizzato. La stessa cosa non sarebbe possibile sulle reti generalizzate di file sharing perché nessun operatore di telecomunicazione potrebbe (vorrebbe) mettere in piedi un sistema di tracciamento di file condivisi da milioni di utenti nel mondo.
Quello qui evidenziato, ovvero rete di file sharing a delivery controllata e abbonamento flat sarebbe un sistema certo ed efficace che consentirebbe da un lato anche la diffusione di gruppi emergenti basati sul marketing virale e dall’altra di ripartire fino al singolo download la quota di abbonamento sottoscritto dall’utente, dando a tutti ciò che effettivamente si meritano.
È antistorico ed è anche sorprendente che una proposta come la flat generalizzata giunga da esperti di tecnologia o da soggetti che hanno a cuore l’ampliamento dell’offerta e la limitazione delle concentrazioni, in un’epoca nella quale è possibile, grazie alle nuove tecnologie, pagare di fatto un sms di pochi centesimi e tenere traccia di microtrasazioni collegate ad esso. Istituire un equo compenso su internet è miope oltre che dannoso per il futuro degli artisti, delle imprese che sviluppano nuovi talenti e perfino per lo sviluppo dello user generated content.
Enzo Mazza
(*) Enzo Mazza è presidente di FIMI , Federazione dell’industria musicale italiana