Costringere l’utente all’aggiornamento tecnologico potrebbe presto rappresentare una pratica commerciale scorretta: il Parlamento francese sta discutendo della possibilità di rendere illegale la pratica dell’obsolescenza programmata per i prodotti immessi sul mercato .
L'”obsolescenza programmata”, pratica comune a molti produttori di tecnologia, prevede il concepimento e la realizzazione di un nuovo prodotto che soddisfi le esigenze del consumatore per un intervallo di tempo limitato, di modo che questi debba poi acquistarne uno nuovo , migliore o, semplicemente, più moderno.
Il dibattito in Francia ferve da tempo: già nel 2012 la candidata verde alle europee Éva Joly aveva fatto della battaglia all’obsolescenza indotta la bandiera della sua campagna elettorale; nel 2013, poi, sempre i verdi avevano presentato un’altra proposta di legge sul tema.
Nei giorni scorsi, poi, la questione ha visto registrare una sorprendente accelerazione: è stato presentato al Parlamento di Parigi ed ha passato la prima votazione un emendamento che collegherebbe tale programmazione commerciale alle pratiche commerciali scorrette , legandolo in particolare alla pubblicità ingannevole.
Questo aprirebbe alla possibilità da parte del consumatore di agire contro il produttore reo di aver volontariamente progettato un determinato prodotto per durare meno di quanto fosse lecito aspettarsi .
In tutto ciò resta poco chiaro come il consumatore possa dimostrare che il produttore operi con l’intenzione programmatica di commercializzare prodotti con scadenza: difficilmente il cittadino potrà raccogliere prove che sembrano avvicinarsi molto ai segreti industriali.
Inoltre, spesso l’obsolescenza non è una questione squisitamente tecnica o che fa leva sulla mancata interoperabilità, quanto piuttosto una una convinzione indotta negli utenti dal marketing: il discorso particolarmente significativo per il settore dell’ICT dove il tempo viene scandito dalla continua presentazione di nuovi device ed aggiornamenti.
Se dovesse effettivamente entrare in vigore, in ogni caso, la nuova normativa prevederebbe anche pene severe : fino a due anni e 300mila euro di multa, con la possibilità di raggiungere il 10 per cento del fatturato medio annuo dell’azienda eventualmente riconosciuta colpevole.
Claudio Tamburrino