Il Senato della Repubblica francese ha approvato all’unanimità una norma subito soprannominata “anti-Google”. Contenuta in un emendamento che si inserisce nel progetto di legge Macron per il rilancio dell’economia nazionale, punta ad inquadrare le attività dei motori di ricerca ed in particolare il potere di Google , che del mercato del search detiene una percentuale preponderante.
Per farlo, l’ emendamento si rivolge a tutti quei “servizi online la cui attività consiste nel trovare informazioni, sia che siano di natura generale che commerciale (…), e che mette a disposizione dei propri utenti risultati (…) rintracciati su Internet in risposta ad una richiesta esplicita da parte di questi ultimi, e disposti secondo un ordine di preferenza”, e impone loro una serie di obblighi, il cui mancato adempimento può portare a multe salate: l’ Autorité de régulation des communications électroniques et des postes (ARCEP) avrà infatti il potere di erogare multe “fino al 10 per cento del fatturato mondiale dell’azienda manchevole”, in pratica come l’Antitrust europeo.
In generale i motori di ricerca dovranno rispettare principi di lealtà e non discriminazione e “non favorire i propri servizi o quelli di entità ad essi legate”; poi dovranno offrire in home page, con un riquadro apposito, il link ad altri motori di ricerca concorrenti “senza alcun legame giuridico con essi”; saranno obbligati ad offrire una descrizione “dei principi generali di classificazione utilizzati per i riferimenti proposti”, forse condividendo dettagli riguardo ai propri algoritmi ; infine, il motore di ricerca non potrà “obbligare terzi, aziende che utilizzano servizi informatici o produttori di apparati elettronici, ad utilizzare in maniera esclusiva il proprio servizio” per scongiurare ulteriori possibilità di concentrazioni sul mercato.
È chiaro, quindi, perché si è parlato subito di legge anti-Google : nell’emendamento vengono in pratica affrontati tutti i nodi delle accuse formali e oggetto di indagine mossegli dalle autorità antitrust del Vecchio Continente.
Innanzitutto l’obbligo di indicare soluzioni alternative al propri servizio sembra ricalcare il ballot screen imposto a Microsoft dall’Europa per spezzare il legame tra il sistema operativo Windows e la diffusione del browser IE; stesso discorso vale per l’ultima previsione, che sembra riferirsi all’ indagine europea formalizzata nei giorni scorsi e relativa ai contratti sottoposti ai produttori di terminali che montano Android e i relativi pacchetti di app della Grande G.
La Francia, insomma, sembra voler proseguire da sola su una strada che Bruxelles non è troppo convinta di voler seguire: prima con le dichiarazioni dell’antitrust che hanno smentito il piano di smembramento di Google a livello nazionale e poi con il mancato appoggio alla richiesta di accesso all’algoritmo di Big G, le istituzioni europee sembrano ora aver deciso di non prevedere leggi ad hoc, ma di continuare ad investigare sul rispetto di quelle esistenti in materia antitrust e di trasparenza.
Oltre a Bruxells, contraria all’emendamento francese che entra in gamba tesa sulla querelle Google, sembra essere anche lo stesso Governo di Parigi, che si è discostato dal piano della commissione Cultura, della commissione Affari europei e della Commissione affari economici: secondo quest’ultimi la ratio dell’intervento, tuttavia, non è protezionista ma anzi mirata a difendere la libertà di impresa e di creazione.
Anche il ministro dell’Economia Emmanuel Macron, che alla norma in cui si incastona l’emendamento ha dato il nome, ha espresso i suoi dubbi: gli obblighi imposti sarebbero sproporzionati e di difficile applicazione. “Sarebbe come chiedere alla Renault – dice – di far pubblicità alla Peugeut sui suoi parabrezza”. Inoltre dubita dell’opportunità di affidare un tale potere ad un’istituzione con una visione parziale come l’ARCEP.
Claudio Tamburrino