Mental detector per gli inganni e risonanze magnetiche per discernere nel cervello dei sospetti verità e menzogne sono strumenti inefficaci e fallibili, sono strumenti di tortura. A rinfocolare le braci del dibattito alimentato dalle associazioni per i diritti civili è un docente della Penn State University : gli scanner cerebrali che le agenzie investigative americane ritengono risolutivi nell’ambito degli interrogatori sono inaffidabili, possono far sfociare gli interrogatori nella violenza.
Gli strumenti tecnologici come le macchine della verità basate sulla risonanza magnetica funzionale si propongono come metodi oggettivi per discernere onestà da menzogne. Per questo motivo negli States la Defense Academy for Credibility Assessment ( DACA ) spinge sulla ricerca perché diventino parte integrante del circuito della giustizia pubblica. Ma anche l’ambito commerciale si sta popolando di attori .
Basando l’interrogatorio sull’osservazione delle modifiche che avvengono nel cervello quando l’interrogato reagisce a stimoli quali domande, affermazioni o immagini, si ritiene che la risonanza magnetica funzionale sia in grado di individuare la verità a monte delle risposte offerte dal sospetto : le reazioni del corpo sono inequivocabili e non c’è modo per l’interrogato di controllare pressione sanguigna nel proprio cervello, monitorata dal macchinario. Per questo motivo si ritiene che la risonanza magnetica sia depositaria della verità, sia lo strumento che renderà obsoleti gli interrogatori tradizionali.
“Non sono aspettative fondate – ha spiegato Jonathan Marks, docente presso la Penn State – e l’accettazione acritica della risonanza magnetica funzionale come strumento per gli interrogatori è rischiosa, sia per l’incolumità dell’interrogato, sia per il corretto dipanarsi delle indagini”. Se infatti la risonanza magnetica non può mentire, come non mentono le reazioni che avvengono nel sistema nervoso dell’interrogato, le interpretazioni che vengono date alle immagini restituite dall’esame possono essere insignificanti, fuorvianti .
“Ci sono un’infinità di motivazioni per cui un individuo possa riconoscere un nome che gli viene proposto, o possa attivare delle risposte cognitive ad un’immagine che gli viene mostrata”: potrebbe fare appello a reminiscenze che provengono dalla propria infanzia, potrebbe riconoscere nell’immagine di un ricercato i tratti somatici di un conoscente. Ma non solo: lo stress potrebbe scatenare delle reazioni imprevedibili nel sistema nervoso del soggetto, reazioni riscontrate dall’esame, che potrebbero essere interpretate come ammissioni di colpa da coloro che presiedono all’interrogatorio, spinti ad indagare con più veemenza.
Marks ha inoltre spiegato che i test condotti sulle macchine della verità, e che sembrano provarne l’efficacia, sono stati effettuati su un campione di persone consapevoli di ciò che li aspettava, nel contesto di un’indagine scientifica. Sono test che richiedono tempo e addestramento per calibrare un’interpretazione personalizzata su ciascuno dei soggetti esaminati. Nulla a che vedere, evidentemente, con un interrogatorio circostanziato ad un individuo sottoposto ad angherie psicologiche o, nel migliore dei casi, spaventato dal fatto che a decidere del proprio futuro sarà un macchinario che sonda l’insondabile.
Gaia Bottà
( Fonte immagine )