La pressione che la pandemia ha imposto alla società (intesa come collettività di individui) e alle persone (intese come atomi singoli di una comunità) enormi pressioni. Le cesure del lockdown, la brutalità inattesa delle chiusure, l’impatto devastante sul mondo del lavoro, le immagini drammatiche negli ospedali ed in fine quel fiume di numeri e analisi da cui siamo stati immersi da 18 mesi a questa parte: tutto ciò, inevitabilmente, compone distorsioni cognitive nella comprensione della realtà che ci circonda, della quale ognuno si sta dipingendo un’immagine propria cercando in un modo o nell’altro di trovare il miglior equilibrio tra percezione e raziocinio.
Ma in tutto ciò emerge chiaro un elemento: i numeri sono diventati un’opinione, mai come in questo caso. Un’arma, nel peggiore dei casi. Uno specchio, troppo spesso. Usati per tutto fuorché ciò per cui nascono: rappresentare, in modo neutrale e preciso, la realtà.
Siamo in grado di prendere decisioni data driven?
La carenza di competenze minime tali da comprendere appieno anche solo concetti elementari della matematica e della statistica, se moltiplicate su milioni di individui, creano l’effetto di un’opinione pubblica distorta e incerta, disorientata e fragile, in grado di rilanciare concetti senza averne davvero giudicata in modo critico l’essenza. Tutto ciò determina decisioni del quotidiano prese su basi irrazionali, spesso e volentieri non conformi con quel che la realtà vorrebbe. Dopo aver rinunciato da tempo alla ricerca della Verità, ci si trova a scontrarsi quotidianamente, per strada come in tv, sui social come nelle chat, con visioni opposte e spesso garibaldine, nelle quali la polarizzazione si è fatta cronica e dove i numeri non hanno più funzione propedeutica al ragionamento, quanto più alla conferma forzosa di opinioni precostituite.
Possiamo dirlo fuori dai denti, ormai: non saranno gli allarmi di Angela Merkel (“la situazione pandemica in Germania è drammatica, anche il numero di morti è spaventoso“) o le invettive della CEI (“non sono mancate manifestazioni di egoismo, indifferenza e irresponsabilità, caratterizzate spesso da una malintesa affermazione di libertà e da una distorta concezione dei diritti“) a scalfire il muro dei No Vax. Sebbene i numeri affermino verità incontrovertibili, premiando l’alto tasso di vaccinazione in Italia e dimostrando in modo inoppugnabile il maggior rischio a cui i non vaccinati sono esposti, il beneficio del dubbio smonta i principi numerici e getta in campo interpretazioni, complottismi, timori. Contro l’irrazionale diventa complesso operare nel senso del dialogo, ma è giustamente questa la scelta intrapresa fin qui dall’esecutivo. L’idea di un Green Pass 2.0 avanza, ma la prospettiva nazionale non è quella di una forzatura in stile tedesco o austriaco (Paesi dove le cifre stanno uscendo di nuovo dagli argini di garanzia): in Italia il Governo vuole usarlo semmai come nuovo ed ennesimo elemento coercitivo per spingere ad una riflessione quanti, rinunciando al vaccino, mettono a rischio sé stessi, il prossimo ed i territori che viaggiano verso il rischio di nuove chiusure. Senza ulteriore arroccamento su posizioni opposte, cercando semplicemente di erodere spazi ai margini di manovra del virus in questa fase decisiva per la ripartenza primaverile.
Decisioni, politica, numeri
Trieste, capitale della protesta prima, rischia di essere capitale delle nuove zone gialle a breve: una situazione che il Paese non può permettersi. Le decisioni delle istituzioni, pur se apparentemente ondivaghe e non sempre facili da comprendere, cercano nel “data driven” una linea razionale per traghettare al meglio l’Italia fuori dai pericoli della stagione fredda. I Paesi che meno di altri hanno vaccinato o che prima di altri hanno rimosso l’uso dei DPI, invece, devono a modo loro fare i conti con decisioni affrettate o poco coordinate, spesso e volentieri anche frutto di debolezze politiche o scontri che non hanno consentito strategie lineari nel tempo (le differenze tra i land tedeschi ne è la riprova).
Mentre i contagi tornano ad aumentare e 10 punti percentuali nel ritmo di vaccinazione stanno facendo la differenza tra l’Italia e altri Paesi vicini, si torna dunque a ragionare sui numeri per misurare la portata emotiva di una nuova ondata e sulle argomentazioni utili per spingere la dose booster. In questo valzer ossessivo tra ragione e sentimento il Green Pass è diventato l’oggetto del dibattito, declinazione dei principi a monte delle differenti sfumature di quest’Europa che in 18 mesi non ha mai imparato davvero a nutrire i propri big data con quelli degli altri.
Tutto ruota attorno al Green Pass, dunque, ma è soltanto una trasfigurazione ideale: la verità è che stiamo cercando di fare i conti con noi stessi intesi come collettività, per misurare le nostre stesse capacità di reazione al problema. In tutto ciò l’apparenza è molto data driven, ma la sostanza è farcita più di opinione che non di matematica.