Apparentemente i sensori e i microchip impiantabili e controllabili da remoto solo la nuova frontiera della biotecnologia avanzata. Istituti di ricerca e società farmaceutiche sperimentano con nuovi approcci, per facilitare la vita ai pazienti ma anche per instaurare con questi ultimi un rapporto ancora più stretto e interdipendente.
Lavorano ad esempio al microchip medicamentoso i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology , in uno studio che coinvolge sette donne affette da osteoporosi e nella necessità di assumere un medicinale in dosaggi quotidiani attraverso iniezioni estremamente dolorose.
Il microchip impiantato all’interno del corpo – appena sotto la linea della vita – è invece progettato per rilasciare autonomamente dosi giornaliere dello stesso farmaco, con i medici che hanno la facoltà di attivare e programmare da remoto (via comunicazioni radio) gli orari della somministrazione delle varie dosi. Il test del MIT ha avuto successo in sei casi su sette, mentre in un solo caso il dispositivo non ha risposto ai radio-ordini impartiti dai medici inibendo il rilascio del farmaco.
Sono controllabili – anzi leggibili – da remoto anche i sensori del Rensselaer Polytechnic Institute di New York, minuscoli dispositivi da impiantare nelle ossa rotte in seguito all’operazione chirurgica per restituire informazioni in tempo reale – una volta attivato il dispositivo di lettura – sullo stato del processo di guarigione.
Laddove le società farmaceutiche potrebbero invece trarre i maggiori vantaggi è nell’impiego di pillole “intelligenti” contenenti chip elettronici “biodegradabili”, capaci di fornire dati su come il corpo reagisce alla somministrazione di un farmaco, “avvertire” un software presente sullo smartphone del paziente e infine comunicare i risultati al medico curante via posta elettronica.
Fantascienza? No, test pratici già messi in atto da colossi come Novartis e Pfizer in collaborazione con startup specializzate in tecnologie bio-tech di nuova concezione.
Alfonso Maruccia