La musica ai tempi del Coronavirus

La musica ai tempi del Coronavirus

Il mondo della musica si trova senza live, senza ascolti in auto, senza serate nei locali pubblici: lo streaming è oggi un'ancora di salvezza.
La musica ai tempi del Coronavirus
Il mondo della musica si trova senza live, senza ascolti in auto, senza serate nei locali pubblici: lo streaming è oggi un'ancora di salvezza.

Il mercato musicale sta per affrontare un momento del tutto anomalo, al pari ovviamente di molti altri mercati, ma all’interno di quella bolla particolare che è quella del mondo dello spettacolo. L’emergenza Covid-19, infatti, mette in discussione gran parte degli ingredienti che possono rendere florido il mercato, ma soprattutto genera un clima di abnorme incertezza per molti mesi ancora.

Insomma: cosa resterà di questo 2020? Come cambierà il mercato musicale? Come potrà essere affrontata questa emergenza? Quali armi ha ancora il mercato a disposizione?

Il tema andrà sicuramente affrontato con massima attenzione nelle settimane a venire. Non è questa la sede in cui vogliamo discutere su eventuali aiuti ad autori ed etichette, poiché non è questa la sede per valutare le politiche di intervento che dovranno supportare i singoli mercati (tutti indistintamente colpiti da una crisi che mai era stata tanto trasversale e “democratica”). Tuttavia ci sono alcune prime considerazioni che è possibile fare per capire come gli attori di mercato potranno reagire per salvare quel che si può salvare. Perché di pane non si fa a meno, ma nemmeno delle rose. E nemmeno della musica, mai come oggi.

La musica ai tempi della Covid-19

Impossibile far conti in questa fase, perché tutto è ancora in divenire e la situazione non è ancora sufficientemente stabile per capire come e quando si potrà tirare una riga per iniziare a tirare le somme di quanto accaduto. Possiamo però partire dalle parole della FIMI, che descrive l’oggi lanciando un grande allarme per i mesi a venire:

Con l’intera filiera della musica ferma ormai da più di un mese, appaiono evidenti i primi effetti anche sul mercato discografico italiano. Negozi e catene di intrattenimento chiuse, molte pubblicazioni rimandate già a dopo l’estate e sale di registrazione inaccessibili offrono un quadro potenzialmente molto negativo. Dalle prime settimane emergono infatti evidenti i cali sul segmento fisico (CD e vinili) di oltre il 60%, sui diritti connessi di oltre il 70% (dovuta alla chiusura di esercizi commerciali e all’assenza di eventi) e sulle sincronizzazioni in grave sofferenza. Soffre anche lo streaming a causa dell’assenza di nuove release, che solitamente fanno da traino agli ascolti, e della scarsa mobilità dei consumatori (secondo i dati IFPI, in Italia il 76% di chi ascolta musica lo fa in auto, e il 43% nel tragitto casa-lavoro).

L’isolamento sociale ha portato ad un minor numero di ascolti in auto e nei tragitti verso il lavoro; l’isolamento sociale ha portato ad una interruzione delle serate nei locali pubblici; l’isolamento sociale ha portato al blocco degli eventi live. Le maggiori fonti di introito, insomma, sono immediatamente cadute sotto i colpi della necessità di ridurre le occasioni di contagio e non è certo pensabile ad un’estate fatta di assembramenti (ossia esattamente quello che la musica invece favorisce, stimola e consacra).

Quel che resta è lo streaming

Quel che rimane è lo streaming. Quel che rimane è Spotify (leader assoluto di mercato). Quel che rimane è la possibilità per gli utenti di beneficiare di abbonamenti a pagamento per occupare il proprio tempo. Anche qui le abitudini stanno apparentemente cambiando, con una diminuzione relativa sulla top 200 (in favore di una redistribuzione degli introiti, dinamica probabilmente positiva in questa fase), ma il tutto sembra compatibile con la sensazione per cui siano le nuove release a spingere in modo particolare gli ascolti.

Ma se questo è quel che resta, in compagnia delle radio e poco altro, allora anche la musica dovrà ripensare le proprie priorità e valutare come reagire. Inutile puntare su live e supporti fisici, insomma, perché è sugli introiti dallo streaming che occorrerà scommettere per risollevare il mercato in questa stagione. Questo determinerà però giocoforza due conseguenze:

  1. Spotify, Apple Music, Amazon Music e altri diventeranno i referenti principali con i quali discutere, assumendo così maggior forza e potendo avere a disposizione un momento estremamente favorevole per imporsi;
  2. Le case discografiche alzeranno sicuramente la voce una volta di più su quel “value gap” attorno al quale da anni ruotano le trattative tra le parti.

La musica entra in una fase emergenziale e lo streaming sembra essere uno dei pochi punti certi assieme al mondo delle radio. Qualche anno fa la situazione sarebbe stata tutto sommato peggiore, perché un blocco così subitaneo di tutti gli spostamenti e delle vendite di beni fisici avrebbe affossato il mercato completamente. Oggi lo streaming è invece un’ancora di salvezza, così come lo è lo smart working per le aziende, lo streaming video per la cinematografia e l’e-commerce per la distribuzione.

Il digitale smusserà gli angoli di questa incredibile ombra nera sul mercato internazionale e si imporrà in pochi mesi come forse non era riuscito a fare in anni di eccessiva inerzia. La digital transformation doveva arrivare come ispirazione, invece è arrivata come necessità. La musica, anche su questo fronte, è stata la lepre e ancora una volta dovrà dimostrare di sapersi adattare per affrontare un 2020 meno peggiore di quanto le prospettive non possano suggerire.

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Pubblicato il
5 apr 2020
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