Uno studio condotto dal Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences ( MPIPF ) ha dimostrato che esistono differenze rilevanti nella percezione della musica eseguita elettronicamente e la stessa musica suonata da un professionista umano .
Lo studio , condotto dal dottor Stefan Koelsch e colleghi, ha tratto le proprie conclusioni dall’esecuzione e dall’analisi di una serie di performance tutte selezionate nel repertorio classico. Durante l’esecuzione dei pezzi sono stati registrati i segnali provenienti dal cervello e i valori di conduttività elettrica della pelle riscontrati su venti diversi soggetti , nessuno dei quali era né musicista né suonatore di alcuno strumento.
Durante lo studio i cervelli dei volontari, monitorati con apposite interfacce, hanno evidenziato con chiarezza la propria attività, reagendo ad esempio ad accordi inattesi o cambi di tonalità . Il che – secondo gli studiosi – sta ad indicare che i cervelli stavano recependo la “grammatica musicale”.
All’atto della somministrazione degli stessi pezzi, eseguiti però da musicisti piuttosto che da computer , i segnali dei cervelli sono risultati più intensi e definiti : “È stato interessante per noi rilevare che le reazioni emozionali agli accordi inattesi erano molto più forti quando venivano eseguiti con espressione musicale. Ciò dimostra come i musicisti possano amplificare il responso emozionale su determinati accordi, proprio grazie alle loro performance e spiega come il nostro cervello reagisce alle performance di altri individui”, spiega il dottor Koelsch.
Dallo studio è emerso, dunque, che all’ascolto dei professionisti i cervelli sono stati più ricettivi nella ricerca del “significato musicale”, di quel feeling che emerge da una sonata eseguita da un pianista reale. “Tutto ciò è molto simile al meccanismo secondo il quale il cervello risponde alla percezione di un linguaggio ed al relativo significato – spiega Koelsch – I risultati evidenziano che le risposte del cervello all’esecuzione di un pianista che suoni con espressione sono molto più significative ed emozionali, anche se chi ascolta non conosce la musica”.
Si tratta dunque di una panoramica che evidenzia come il cervello umano risponda con segnali precisi e selettivi alle sollecitazioni acustiche melodiche, una dinamica percettiva a volte messa in dubbio – specie in circostanze come quella scatenata del recente caso I-doser – portando a conclusioni di impassibilità emozionale che potrebbero rivelarsi affrettate.
Marco Valerio Principato