Piangono sui mancati guadagni e sul cambiamento delle abitudini degli utenti, le grandi sorelle della discografia; RIAA et similia si sono affannate con ogni mezzo nel tentativo di sbaragliare la piaga del file sharing, nonostante siano numerosi gli studi che dimostrano come il P2P non incida sulle vendite di musica. Quanto è realmente cambiato lo scenario dei consumi rispetto all’epoca pre-P2P? Le major sono davvero sotto scacco? A proporre una risposta è uno studio che risale al 2005, comparso sull’ultimo numero di Management Science e segnalato da Ars Technica .
I ricercatori hanno innanzitutto analizzato le classifiche dei 100 album più venduti, stilate ogni settimana da Billboard , per stabilire come sia cambiato il mercato nell’arco di tempo fra il 1995 dal 2004, a cavallo del biennio spartiacque tra metà 1998 e metà 2000. Un biennio che a parere dei ricercatori ha posto le premesse per dare una scossa al mercato: si è iniziato ad affermare l’uso del formato mp3, ha fatto la sua comparsa il Digital Millennium Copyright Act, mentre Napster si popolava di utenti. Nella seconda fase della ricerca si sono confrontati i dati estratti dall’analisi delle classifiche con i dati reltivi al traffico sull’allora affollato network di WinMX, per tracciare una stima che rendesse conto dell’incidenza del file sharing sulla dinamica delle vendite.
L’assunto fondamentale dal quale si è mossa la ricerca è la certezza del valore della popolarità . La popolarità guadagnata per mezzo di strategie promozionali crossmediali, di un battage pubblicitario pressante, di una celebrità consolidata sospinge le vendite, vendite che a loro volta incrementano la notorietà, alimentando nuovamente il successo sul mercato. Ma la popolarità, nell’epoca post-2000 non è più solo frutto delle strategie promozionali delle major: c’è il P2P a distribuire sul mercato gustosi “assaggi” e ad imporre tendenze.
A partire dalla seconda metà del 2000, in piena ascesa del P2P, si è osservata una minore persistenza degli album nelle classifiche delle vendite, una tendenza che vale quasi esclusivamente per i dischi che debuttano nelle posizioni meno vicine alla testa, che faticano ad entrare nel consolidato circolo virtuoso e profittevole della conoscenza e della moda mainstream. È così che nella top 100 si avvicendano più frequentemente le new entry, che resistono in media per una decina di settimane, mentre nel periodo che precede il biennio spartiacque gli album tendevano a vantare una coda più lunga nella permanenza in classifica, in media 14 settimane. Il ruolo del P2P? Fluidifica il mercato, rende dinamica la fascia meno alta della classifica : gli utenti del file sharing sono numerosi e vantano preferenze diversificate, ciascuno offre agli altri un catalogo costantemente aggiornato di musica da scoprire , portando alla luce artisti poco noti, regalando loro qualche settimana di vendite e di popolarità.
Nel contempo, gli album tendono a debuttare nella classifica delle vendite in posizione più alte, come se il mercato fosse già a conoscenza del prodotto , e il consumatore di musica non percepisse il rischio di lanciarsi in un acquisto avventato. Una tendenza che sembra direttamente correlata all’avvento del P2P, che ha la capacità di promuovere prodotti poco noti, di farli conoscere anche a coloro che decideranno di premiare l’artista scoperto gratuitamente con l’acquisto del prodotto fisico.
Il rapido avvicendarsi delle opere in classifica si riflette anche sull’aspetto qualitativo della sua composizione: resta massiccia la presenza in classifica di artisti che operano sotto l’ala protettrice delle major, ma sempre più spesso fanno la loro comparsa nelle chart artisti indipendenti o a contratto con case discografiche minori , che sono riuscite ad interpretare le aspettative del mercato e hanno sperimentato tattiche promozionali fruttuose, anche a mezzo reti P2P .
Il P2P è croce e delizia per questa categoria di artisti: garantisce loro l’ingresso nella top dei prodotti più venduti ma, al tempo stesso, apportando dinamicità al mercato, li sospinge rapidamente fuori dalla classifica.
È lecito che le major lamentino vendite mancate imputabili al file sharing? Checché ne dicano i dinosauri della discografia, frutta ancora , soprattutto per le voci femminili, il rodato modello dell’iperpubblicizzata superstar , la gallina dalle uova d’oro che può vantare 100 settimane di permanenza nelle classifiche. Il P2P sembra inoltre supportare e promuovere i pupilli delle major, che hanno iniziato a godere anche della popolarità garantita dal passaparola condotto sulle reti di sharing.
Quali, allora, le motivazioni che giustificano la crociata delle grandi etichette con i pirati del P2P? Le vendite restano massicce, la persistenza in classifica dei loro prodotti appare costante e sembra non soffrire delle tendenze sempre più ondivaghe delle mode che si affollano su un mercato rapido e composito.
È vero però che i prodotti delle etichette indipendenti si stanno facendo largo nelle classifiche, spalleggiate dal passaparola del P2P. È vero inoltre che questa minaccia, che all’apparenza sembra lungi dall’incombere, potrebbe concretizzarsi in un futuro prossimo: le reti di sharing sono considerate sempre più un termometro del gradimento , le radio sondano gli umori di coloro che le major bollano come incorreggibili pirati. Sembra si stia invertendo il corso del meccanismo che alimenta il circolo vituoso della popolarità: se la celebrità che sospinge le vendite proviene dal basso anziché essere frutto delle strategie industriali , le major hanno ragione di temere. Insieme al primato dei consolidati strumenti promozionali rischia di perdere terreno anche il primato delle galline dalle uova d’oro certificate dalle etichette delle grandi sorelle della musica.
Gaia Bottà