Mettere a disposizione dei file, condividerli online non equivale a distribuirli: si consolida nella giurisprudenza statunitense la tendenza a distinguere i concetti di distribuzione e di semplice condivisione. Ma il parere del giudice, nella vicenda legale che vede opposte RIAA e una donna newyorchese, potrebbe non giocare a favore del netizen che si diletta con il file sharing: condividere dei file potrebbe essere considerata un’offerta di distribuzione.
Questa decisione bifronte è stata emessa dal giudice federale Kenneth Karas, incaricato di dirimere il contenzioso fra Denise Barker e un manipolo di case discografiche, fra cui Sony BMG, Universal e Virgin Records. Nel 2005 Barker era stata accusata dall’industria dei contenuti di aver infarcito la propria cartella condivisa del client P2P Kazaa con 611 file, file che la donna avrebbe distribuito illegalmente. Ma Barker, già negli scorsi anni, aveva chiesto alle etichette di esibire la prove del fatto che la violazione fosse realmente avvenuta: a parere degli avvocati della donna, la semplice detenzione di file in una cartella condivisa in rete non significava in alcun modo che i file fossero stati ottenuti illegalmente o che fossero stati illegittimamente distribuiti.
Le major avevano ribattuto che per provare la violazione del copyright è sufficiente provare che i file siano stati messi a disposizione online. Il caso si è affollato di testimonianze e di pareri: come avvenuto più recentemente in un contenzioso analogo, EFF si era espressa a favore di Barker sostenendo che equiparare la messa a disposizione alla distribuzione vuol dire riscrivere e snaturare la legge sul diritto d’autore . Un parere al quale avevano reagito l’industria di Hollywood e il Dipartimento di Giustizia degli USA depositando dei documenti a favore della posizione di RIAA, nei quali si sosteneva che la condivisione di un file in rete è condizione sufficiente per violare il diritto alla distribuzione accordato al soggetto autorizzato dall’etichetta.
Il giudice Karas, a tre anni dall’inizio del processo, ha indirizzato l’accusa verso una strada in salita, una strada che però, a differenza di quella tracciata recentemente dalla giudice Janet Bond Arterton, potrebbe condurre le major ad una vittoria. Se la giudice Arterton ha stabilito che “senza una reale e comprovata distribuzione delle copie dei file non c’è violazione del diritto alla distribuzione”, il giudice Karas apre uno spiraglio per l’industria dei contenuti . Pur squalificando la validità dell’equivalenza tra “mettere a disposizione” e “distribuire”, il magistrato si è focalizzato sulla definizione di “pubblicazione” contenuta nella legge sul copyright e ha sostenuto che nel testo della legge “pubblicazione” e “distribuzione” siano sinonimi . Se nella legge non si specifica che eventuali tentativi di distribuire siano da considerarsi distribuzione, la legge chiarisce però che qualsiasi offerta di distribuire delle copie di un’opera sia da considerare effettiva pubblicazione, quindi effettiva distribuzione.
Karas offre dunque la possibilità all’industria della musica di consolidare la propria posizione nei confronti di Denise Barker: alle etichette basterà riformulare l’accusa perché si proceda alla valutazione del caso, basterà accusare gli imputati di “offerta di distribuzione” dei contenuti di cui detengono il copyright di una “pubblicazione non autorizzata delle opere” per fare in modo che l’accusa di distribuzione illecita risulti fondata.
L’industria della musica potrà impugnare l’arma legale della sinonimia per spingere il tribunale a dirimere i casi a proprio favore? EFF non ha esitato a
commentare il parere del magistrato: “I concetti di pubblicazione e di distribuzione hanno valenze molto differenti nel Copyright Act” e non è giustificabile, in questo frangente, considerare distribuzione le semplici offerte di distribuire dei contenuti, in quanto non danneggiano in alcun modo l’autore e chi lo rappresenta.
Gaia Bottà