Un elenco di 287 siti: URL dietro alle quali si dovrebbe celare materiale pedopornografico, un indice di siti che dovrebbe contribuire a evitare che i cittadini della rete italiani si imbattano in contenuti illegali. Emersa da procedure complesse e opache al cittadino della rete, è stata condivisa su Wikileaks quella che viene presentata come la lista della URL filtrate per legge dai provider italiani.
Classificati da indirizzi fin troppo espliciti o nascoste dietro a URL apparentemente innocue, le pagine che dovrebbero contenere testimonianze di abusi sui minori. La lista pubblicata su Wikileaks viene annunciata come un elenco di siti che l’Italia censura: si tratterebbe della blacklist gestita dal Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia online e distribuita ai provider. ISP che, sulla base del decreto Gentiloni , dovrebbero provvedere a dirottare verso indirizzi sicuri il traffico dell’utente che le visiti, verso l’avvertimento diramato dal Ministero dell’Interno.
Non tutti i siti della lista messa a diposizione su Wikileaks restituiscono il segnale d’allarme con cui l’utente viene avvertito che la pagina è “interdetta”, che “il tuo browser sta tentando di raggiungere un sito Internet contenente immagini e filmati pedopornografici”. Alcune delle URL dirigono il cittadino della rete verso ordinaria pornografia, si sottolinea su Wikileaks, verso siti che non sembrano avere nulla a che vedere con gli abusi sui minori. Ciò non scioglie i dubbi relativi all’autenticità della lista: potrebbe trattarsi di una blacklist non aggiornata. L’elenco dei siti proibiti viene affinato quotidianamente e quotidianamente trasmesso ai provider.
Wikileaks si scaglia contro la blacklist, la lista sembra essere stata pubblicata per denunciare l’insondabilità dei procedimenti con cui vengono gestite questo tipo di operazioni. Nelle liste italiane dei siti proibiti convergono non solo siti illegali che contengano immagini pedopornografiche localizzati su server esteri. La legge impone ai provider di rendere inaccessibili anche i siti dedicati al gambling che sfuggono alle autorizzazione di AAMS, mentre degli ordini emessi dalla magistratura hanno costretto i fornitori di connettività ad agire sulla connessione dell’utente per complicare l’accesso a siti di diverso genere, da quelli dedicati alla vendita di sigarette di contrabbando, a quelli che spacciano merce contraffatta o che forniscono ai cittadini della rete degli strumenti per attingere a contenuti condivisi. L’ emendamento D’Alia , la cui minaccia non si allunga più sulla rete italiana, prevedeva che i provider facessero calare dei filtri in caso di reati di opinione riscontrati in rete: per gli ISP operare in maniera chirurgica ed efficace sui singoli contenuti resta impossibile .
Proprio per l’ inefficacia dei filtri , proprio per l’ invasività della misure con cui le autorità impongono di epurare la rete a favore dei cittadini, proprio per la difficoltà nel tracciare una discriminante con cui isolare i contenuti illegali, il dibattito si addensa intorno ad ogni proposta con cui le istituzioni vorrebbero introdurre i sistemi di filtraggio. Le polemiche infuriano ora in Germania, dove è stata recentemente approvata una legge che dispone l’introduzione delle pedoliste. L’Australia è stata scossa dalla pubblicazione su Wikileaks della lista nera gestita dalle autorità locali, le istituzioni si sono mobilitate per chiedere la rimozione dei link diretti alla pagina di Wikileaks che scoperchia il vaso di Pandora della blacklist. Molti dei siti non ospitavano contenuti illegali, hanno di recente confermato le autorità australiane. Sparuti i cittadini della rete australiani che hanno pubblicato il link a Wikileaks: sul loro capo pende la minaccia di ingiunzioni e multe: resta da capire come invece in Italia si deciderà di agire rispetto a questa presunta fuga di notizie .
Gaia Bottà