La cartina del mondo si muove in ogni direzione, e sopra vi appaiono uno dopo l’altro fugaci popup, brevissimi post pubblicati da utenti di molti diversi paesi: si chiama twittervision ed è forse la più interessante espansione del giovanissimo twitter.com . Cos’è? Un servizio che ti consente di far sapere a tutti quelli che vuoi, su web e cellulari, cosa stai facendo in questo momento : twittervision ne fa una sorta di broadcast geografico in presa quasi diretta.
L’ho guardata a lungo quella tv globale ed intimistica, nel tentativo di tradurre l’impressione esaltante del primo approccio in qualcosa di più costruttivo. E così ho deciso di analizzarne l’andamento nel corso di 10 minuti esatti . Il primo dato che salta all’occhio sono i post della BBC : ogni qualche minuto, con una cadenza decisamente ossessiva, viene pubblicato un post che “lancia” una certa notizia. Non so se è una forma di “inquinamento” di un ambiente che spinge tutto sull’individuo e la sua rete di relazione, e non certo sulle corporation, ma non è ancora perfezionata: in 10 minuti ho visto tre lanci BBC identici. È Il prezzo dell’essere trendy, suppongo.
Non solo. Volendo considerare significativi quei 10 minuti – il che è una forzatura che però aiuta ad approfondire – si potrebbe dire che su twittervision, cioè su twitter, si parla prevalentemente inglese . E questo non perché la maggiorparte degli utenti che lo utilizzano sembrino essere americani, 52 i post made in USA sui 121 apparsi in quei 10 minuti, ma perché è l’inglese la lingua che scelgono molti utenti di paesi non anglofoni. In inglese era scritto l’unico post che ho visto pubblicato dalla Cina, e così quello che si è aperto in popup da Taiwan. La koiné britannica si fa largo anche in Malaysia: l’unico utente malese di twitter che ho intercettato in quei dieci minuti scrive in inglese, proprio come il suo collega filippino.
Non mancano gli italiani , ho contato 7 post, “solo” tre dei quali in inglese, provenienti tutti dal nord Italia. I post francesi che ho visto erano tutti scritti in francese mentre dei post di utenti spagnoli almeno la metà era in spagnolo.
Non potendo mostrare contestualmente tutti i post pubblicati, twittervision li spara man mano, uno dopo l’altro, fino ad esaurire la “coda”. In 10 minuti ho notato solo una 30ina di secondi di “silenzio”, in cui nessun post era visualizzato, forse causa buffer. Di cosa si parla su twittervision? Nei post di questa “vision” priva di qualsiasi regia, e in quei 10 minuti, ho contato un buon numero di commenti sul clima e sul funzionamento di twitter, qualche buonanotte e qualche buongiorno.
Ma ciò che salta all’occhio a chi guarda twittervision è invece tutta la pesantezza del digital divide mondiale . Abbiamo dinanzi un prodotto web avanzato, molto giovane, che non tutti conoscono e di cui i grandi media ancora devono parlare, né è, per ora almeno, un prodotto “di moda”. Chi lo usa in questi primi mesi di attività, come accennato, parla spesso e volentieri proprio del suo funzionamento, perché come è già accaduto con molti progetti web 2.0, tutti si sta cercando di capire se serva o no e, se serve, a cosa serva. Twitter è un’applicazione molto giovane ma è chiacchieratissima nella blogosfera mondiale e i suoi numeri crescono rapidamente, il che potrebbe rendere la vita difficile a questa “post tv”, che per evitare il proporsi di un numero esagerato di popup dovrà ricorrere a “canali” con diverse “tipologie di utenti” o a specifici sistemi di ranking.
Questo fa sì che oggi vi accedano solo gli heavy user , quelli che usano la tecnologia ed Internet ogni giorno. Continuando a voler prendere per buoni quei 10 minuti, la maggiorparte di questi utenti vive in Nord America o in Europa, qualcuno in Asia. Dall’Africa al Medioriente, fino al Sud America, dove si trovano molti dei paesi in cui più arretrato è lo sviluppo della rete, nessun segno di vita, nessun post che racconti cosa sta facendo chi. Non parliamo di dati scientifici o statistiche su quei paesi, evidentemente, parliamo di percezione .
Difficile dire oggi se twitter avrà un futuro, e così twittervision, ma di certo è un’opportunità, un termometro utile per ricordare che il digital divide non rappresenta solo e soltanto un problema di sviluppo economico, a cui spesso viene ricondotto anche in consessi di primo piano, ma ha un impatto diretto ed immediato sulla qualità della vita delle persone, in questo caso sulla vita degli esclusi dalle nuove comunità e dai nuovi modi della rete.
Paolo De Andreis