Quella vissuta nelle ultime ore è senza dubbio la prima crisi istituzionale vissuta su Facebook . Lo si evince da molti indizi, a partire dai protagonisti: tanto Luigi Di Maio (1,6 mln di follower) quanto Matteo Salvini (2,2 mln di follower) hanno dimostrato di essere degli abili “youtuber” (licenza poetica nostra, visto che non è su YouTube che hanno sfoderato le proprie capacità in video), estremamente incisivi nel portare il loro messaggio su Facebook per raccogliere like, reazioni e condivisioni. Ma persino il Presidente della Repubblica ha avuto il proprio messaggio pubblicato sulla piattaforma di Mark Zuckerberg, anche se con un linguaggio pensato per altri medium, anche se al di fuori di una vera strategia di engagement e – di conseguenza – anche se i commenti non son evidentemente giunti da follower particolarmente affezionati.
I video caricati nella tarda serata di ieri non sono stati che l’inizio: nei minuti successivi – quando non in diretta ed in versione integrale – lo stesso messaggio è stato trasmesso anche in tv dove i vari speciali che seguivano la crisi hanno riproposto i video dei due leader scaricati poche ore prima dal Presidente Mattarella. A reti unificate è passato sia il messaggio (le invettive contro il Presidente della Repubblica) che il mezzo (Facebook, i suoi like, i suoi commenti, la sua grafica, la sua primarietà sulla tv).
A tutto ciò è seguita una terza fase, complessa e intensa, ancora in pieno climax anche a 12 ore dai fatti di ieri sera: l’inseguirsi dei meme, dei commenti, delle condivisioni che ha trasformato il social network in un improvvisato luogo di dibattito politico. Ebbene si, nell’estate del mondiale, dove purtroppo non potremo essere tutti allenatori, saremo evidentemente tutti abili costituzionalisti: è bastata una nottata di condivisioni per chiarirne il sentiment.
Occhio sulle tv, dita sul “second screen”. Tra un messaggio di partito e un altro, il tempo è colonizzato dalle mille opinioni e dalle vagonate di condivisioni, in un aumentare continuo della tensione che solo le ore piccole hanno saputo in qualche modo sfumare. E poi tutti a letto, chissà come andrà lo spread, se ne riparla domattina. Poi il “domattina” è arrivato e la crisi (in pieno corso) la si può rileggere a ritroso sulla bacheche dei protagonisti; giorno dopo giorno, su una piattaforma che mette in evidenza le reazioni dei nostri amici facendoci anche capire in modo esplicito quanti e quali, attorno ad ognuno di noi, sia pro o contro una certa posizione.
La prima crisi istituzionale vissuta su Facebook è una crisi che va letta con attenzione perché ha reso ancor più evidente, qualora non lo fosse già da tempo, quanto importante debba essere la responsabilizzazione dei singoli nel rapporto con i social network . Il tempo de “il silenzio è oro” è ampiamente archiviato, ora tutti vogliono rigurgitare rabbia e sentenze. Non conta l’opinione in sé, quanto la pulsione smodata a farla fuori, senza controprove, spesso senza un vero dibattito susseguente, polarizzando ogni tema ed in generale portando l’opinione all’interno di quella “bolla” nella quale si è grossomodo certi di trovare nutrimento per il proprio ego e paletti confermativi per le proprie raffazzonate tesi. Tante piccole spirali di autoconvincimento radicalizzano le opinioni e nei prossimi giorni, quando pareri più autorevoli di quelli dell’Università della Vita porteranno il proprio contributo, sarà probabilmente già tardi: ognuno sarà confinato nel proprio personale convincimento in attesa di assistere agli eventi con gli occhi sulle tv e le dita sul “second screen”.
Non va sottovalutata la prima crisi istituzionale vissuta su Facebook, perché ha mostrato la potenza espressiva di chi lo ha saputo usare; dimostra la forza d’urto del venticello dell’indignazione; dimostra la vacuità di proteste fatte di click; dimostra il traino vorace delle opinioni disseminate, quasi mai incisive, quasi sempre in grado di occupare il canale oscurando qualsivoglia alternativa. Dimostra anche quanto un social network possa farsi veicolo di una battaglia del “popolo” , qualunque sia questo popolo.
La prima crisi istituzionale vissuta su Facebook è una cartina di tornasole con la quale rileggere la Costituzione nell’ottica di una nuova epoca, epoca “del cambiamento” nella quale Facebook fa eccome la sua parte. Anche questo è stato rinfacciato a più riprese a Mark Zuckerberg durante l’audizione con il Parlamento Europeo: ” in gioco c’è la democrazia ” (cit. Antonio Tajani), le sue pratiche, i suoi protocolli, le sue regole, i suoi equilibri. Facebook, strumento neutrale piombato su un mondo scritto con le regole del ‘900, è di per sé un elemento di crisi, una fornace di tensioni, un luogo che con una mano sa esacerbare l’indignazione e con l’altra la sa anestetizzare frammentandola in emoticon.
Quello che al Quirinale si è temuto è che ad un certo punto il vaso dei click avrebbe potuto traboccare nelle piazze, passando per le stanze dei bottoni e facendosi portatore di derive a quel punto difficilmente controllabili. All’interno di una crisi di questo calibro, individuare un ruolo di Facebook non è certo una forzatura : è semplicemente il dato di fatto di una situazione che, dalla campagna elettorale fino alle consultazioni, passando per un contratto di governo e le dirette dei leader con i propri seguaci, ha seduto il social network direttamente all’interno delle sale in cui si stava per definire il futuro del paese.
La prima crisi istituzionale vissuta su Facebook è una crisi estremamente social, disintermediata, fatta di “engagement” e “reaction” come unità di misura alternative ad una forza d’urto che un tempo si misurava in “piazze”. È una crisi in cui il rapporto tra la politica ed il cittadino è più diretta, para-partecipata e over-mainstream. È una crisi in cui la piazza è parcellizzata su milioni di display, la cui voce è più voluminosa ma meno rumorosa. È: una crisi che non va sottovlautata anche solo per il semplice fatto che si tratta di una situazione del tutto nuova, difficile da interpretare. Per questo sarà necessario studiarne a fondo le dinamiche.
La prima crisi istituzionale vissuta su Facebook è forse davvero incipit di una quarta Repubblica. Chiunque ne saranno i protagonisti, perché in tal senso nulla è scontato; migliore o peggiore che sia, perché diversa lo sarà sicuramente.