La pubblicità di Google anche nell'etere

La pubblicità di Google anche nell'etere

Grazie ad un nuovo servizio online gli inserzionisti potranno giocarsi all'asta anche gli spazi pubblicitari radiofonici statunitensi
Grazie ad un nuovo servizio online gli inserzionisti potranno giocarsi all'asta anche gli spazi pubblicitari radiofonici statunitensi

Google ha deciso di infilare il naso anche nel settore della pubblicità radiofonica statunitense. La scorsa settimana, gli ascoltatori di alcune stazioni di Sacramento e Boston hanno “captato” un nuovo spot di una piccola Internet company specializzata nella vendita online di prodotti per la casa. La novità è che dietro l’operazione di brokeraggio pubblicitario, si nascondeva proprio il colosso di Mountain View con un nuovo servizio online completamente dedicato al mondo degli spot radiofonici.

E così, dopo il service per pubblicizzare su giornali cartacei , ecco l’ultima novità “eterea”. Secondo Fred Yazdizadeh, proprietario della piccola società californiana, si tratta di una grande opportunità per tutte le imprese a basso profilo. “Ciò che stanno realizzando è grandioso, perché ora posso penetrare in ogni mercato che desidero”, ha dichiarato Yazdizadeh. “Insomma, sono finalmente nelle condizioni di portare la mia attività su un altro livello”. Il tutto, sempre secondo l’imprenditore californiano, a fronte di un investimento inferiore rispetto ai prezzi di mercato e con il pieno supporto di uno staff professionale.

Google ha iniziato la sua operazione lo scorso gennaio, quando ha acquistato per 102 milioni di dollari una piccola società specializzata in pubblicità radiofonica. La dMarc Broadcasting deteneva un interessante tecnologia che permetteva una sorta di “mercatino” pubblicitario last minute. In pratica, approfittando di un tool online, le stazioni affiliate erano in grado di vendere la pubblicità in eccesso. Una soluzione perfetta per le velleità espansionistiche di Google.

Un inserzionista potrà così connettersi con il servizio online e creare una campagna radiofonica selezionando l’area geografica, la tipologia di audience, l’orario e il formato preferito. A quel punto segnalerà la cifra che è disposto a pagare per lo spazio, senza sapere quale sarà la stazione radiofonica che si occuperà della messa in onda. Le stazioni radio, infatti, potranno valutare in totale libertà le offerte correlate agli slot messi a disposizione. Ad ogni contratto stipulato, poi, corrisponderà una commissione per Google.

Inoltre, nel caso in cui un inserzionista non disponga già di un spot, Google segnalerà professionisti del settore per la loro realizzazione; i prezzi e il tipo di contenuto potranno essere completamente negoziati.

L’obiettivo dell’intera operazione è quello di “spremere” quella base di potenziali piccoli inserzionisti che fino ad ora non sono andati oltre la dimensione online. Con un unico sistema ad aste, in fondo, Google pensa di poter “piazzare” la pubblicità su radio, riviste e quotidiani.

“Vogliamo includere la radio nella nostra offerta pubblicitaria e allo stesso tempo avvicinare a questo mezzo nuovi inserzionisti”, ha dichiarato Ryan Steelberg, fondatore di dMarc e adesso responsabile del progetto radio di Google. “Se riusciamo a smuovere anche solo poche migliaia di clienti, si tratterà di una grande vittoria per Google e per i radio broadcaster”.

Alcuni operatori del comparto vendite, però, si sono detti preoccupati per questa iniziativa di Google. Il timore è che si crei una sorta di competizione fra le varie compagini commerciali che possa stimolare la corsa dei prezzi al ribasso.

Secondo la pubblicazione di settore Radio Ink , le vendite pubblicitarie radiofoniche nazionali nell’ultimo anno sono cresciute del 2%, mentre quelle locali sono scese dell’1%. “Nel 2007 ci aspettiamo un incremento del fatturato del 2%”, ha sottolineato Mark R. Fratrik, vice presidente della BIA Financial Network . “Il servizio di Google ha certamente del potenziale. Ci vorrà del tempo, perché in fondo si tratta di un sistema nuovo: ne valuteremo l’impatto, quindi, solo fra uno o due anni”.

Dario d’Elia

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Pubblicato il
12 dic 2006
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