Yangon – Chiudono i giornali che si rifiutano di veicolare la pressante propaganda governativa, non una parola delle proteste sui media controllati dalla giunta militare, mentre le linee telefoniche da giorni sono inutilizzabili , per ridurre al silenzio i media e impedire che gli attivisti si coordinino. Internet funziona a singhiozzo.
La giunta militare che dal 1962 governa la Birmania intende far calare un silenzio irreale sulle proteste pacifiche, e sulla violente repressioni, che da settimane turbano il paese. I confini di Myanmar sono formalmente impenetrabili. I giornalisti sono interdetti dallo svolgere il proprio operato: vengono bloccati ai confini del paese, viene loro sequestrato ogni tipo di attrezzatura, chi non si rifugia presso le ambasciate rischia le perquisizioni dei militari, se non la morte .
Una stretta censoria che ha indotto Jim Sciutto, inviato ABC , ad appropriarsi dei mezzi del giornalismo grassroot , pur di rilanciare una testimonianza , smartphone alla mano, di quanto sta avvenendo nelle città birmane.
I giornalisti sono costretti ad agire nell’ombra, approfittando dei mezzi in dotazione degli utenti dei social media , ma possono ancora documentare gli abusi a cui assistono, veicolandoli all’estero attraverso collegamenti traballanti. Differente la situazione dei netizen locali, che tentano di difendere strenuamente il loro diritto ad esprimersi e il diritto dei cittadini ad essere informati, ma si scontrano con il blackout del Web imposto dal governo.
La giunta militare non ha infatti ritenuto sufficiente mettere a tacere i blogger più influenti, i cui racconti sono stati ripresi dai media esteri; non è bastato che dei cracker thailandesi si scagliassero contro The Irrawaddy , uno dei corrispettivi birmani di Radio Londra, per ridurlo provvisoriamente al silenzio. Reuters riporta infatti che il governo ha fatto appello a tutta la sua esperienza in materia di censura del Web : da venerdì, salvo una breve riconnessione durante la giornata di sabato, i netizen birmani sono impossibilitati ad accedere alla Rete, a postare testimonianze, ad informarsi riguardo al dispiegarsi di proteste e repressioni. Gli operatori locali imputano il disservizio al danneggiamento di un cavo sottomarino.
E se in questo clima artificiale di silenzio sono in agguato le fiammate revisioniste, l’ American Association for the Advancement of Science ( AAAS ) ha provveduto a documentare inequivocabilmente quanto accade in Myanmar: è l’ occhio dei satelliti a confermare le testimonianze dei cittadini, spiega Reuters , a mostrare dall’alto la distruzione di numerosi villaggi e la comparsa di una trentina di insediamenti controllati dai militari, ad offrire una visuale privilegiata di quanto avviene nelle zone urbanizzate. L’intento di AAAS è quello di lanciare un messaggio al governo: si possono mettere a tacere le vittime degli abusi, si può organizzare una propaganda martellante, ma le immagini sono imparziali, e parlano chiaro.
Sembrano però non avere bisogno di essere convinti dalle testimonianze satellitari i netizen di tutto il mondo. C’è chi smentisce con vigore coloro che descrivono i servizi di social networking come incubatori di razzisti e molestatori : un giovane canadese, nel giro di pochi giorni, ha raccolto oltre centomila sottoscrizioni per la sua campagna a mezzo Facebook , lanciata con l’intento di mobilitare i netizen a favore dei diritti civili della popolazione birmana.
Ricalcando il messaggio diffuso nei giorni scorsi a mezzo catena di SMS, anche il Web italiano veste i colori dei monaci per supportare la loro pacifica protesta. Il network di Blogosfere si è tinto di rosso, invitando la Rete a fare altrettanto, mentre il metamondo di Second Life si sta riempiendo di girotondi di avatar , ai quali partecipa anche il team di Assisi Second Life .
Gaia Bottà