La scimmia del selfie e l'evoluzione del copyright

La scimmia del selfie e l'evoluzione del copyright

Gli animalisti di PETA ricorrono al tribunale per invocare il diritto degli animali di essere riconosciuti come autori di opere degne della protezione del copyright
Gli animalisti di PETA ricorrono al tribunale per invocare il diritto degli animali di essere riconosciuti come autori di opere degne della protezione del copyright

I proventi di un selfie potrebbero servire a finanziare i macachi crestati delle riserve indonesiane: a chiederlo è il gruppo di animalisti PETA inserendosi in quella che sembra la più assurda diatriba di proprietà intellettuale degli ultimi anni.

La vicenda risale allo scorso agosto ed è così singolare ed aneddotica che potrebbe sorprendere sentirne parlare a più di un anno di distanza: una scimmia del parco nazionale di North Sulawesi (Indonesia), impossessatasi della macchinata fotografica preparata su un cavalletto da un turista-fotografo, aveva fatto una serie di foto tra cui diversi autoscatti. Proprio uno di questi era finito per essere pubblicato sull’articolo di un giornale online e poi condiviso su Wikimedia Commons.

Alla richiesta del proprietario della fotocamere di vederla rimossa, Wikimedia aveva risposto negativamente avanzando l’ impossibilità di riconoscerlo come autore dello scatto e dunque detentore dei diritti su di essa : apriti cielo, la scimmia ed il suo selfie divennero così la miccia per una nuova lunga discussione sul diritto d’autore/copyright .
La vicenda, infatti, è finita sui banchi di diverse autorità tra cui gli esperti dell’Ufficio Copyright statunitense, l’ Intellectual Property Office (IPO) britannico e, da ultimo, la Corte federale di San Francisco cui si sono appunto rivolti gli animalisti.

Secondo lo US Copyright Office , in realtà, “dal momento che il copyright è limitato alle creazioni originali intellettuali di un autore non è possibile registrare contenuti per cui si è determinato che non si tratta di una creazione di un umano”. A tale ragionamento l’Ufficio conclude che “non registrerà le opere prodotte dalla natura, da animali o da piante”. Ed alla stessa conclusione è giunta l’IPO che d’altronde parte da una concezione di copyright molto simile a quella statunitense.

Nonostante tali conclusioni Jeffrey Kerr, avvocato di PETA, ha contestato che si tratti solo di opinioni dell’Ufficio Copyright e che non vi sia invece nello US Copyright Act nessuna disposizione che limita esplicitamente i diritti agli umani , anzi si parla genericamente di “autori di opere originali, senza limiti – letteralmente – di specie”.

Per questo PETA chiede ora che i proventi generati dalla foto siano destinati alla comunità di Macachi cui la scimmia fa parte.

L’altra campana è costituita dal proprietario delle macchina fotografica, il fotografo David Slater, che afferma che la scimmia si è limitata solo a scattare, mentre era stato lui a posizionare la macchinetta e il treppiedi che la reggeva inquadrando un determinato scorcio.

Per PETA si tratta in realtà di una battaglia che si inserisce in una guerra più ampia nella quale si scontra alle autorità degli Stati Uniti per veder estesi agli animali i diritti degli umani. Precedentemente ha per esempio denunciato (senza successo) per schiavitù un parco marino colpevole – a suo avviso – di ospitare contro la loro volontà cinque orche assassine.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
24 set 2015
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