Roma – Il problema del bilanciamento tra privacy e sicurezza deve essere affrontato scansando il campo da pregiudizi ideologici o di parte che non ci aiutano a risolvere il problema. La maggioranza parlamentare, anzi la quasi unanimità, con la quale è stato convertito in legge il decreto del Governo (D.L. n. 144 del 27 luglio 2005, convertito nella legge n. 155 del 31 luglio 2005, cd “pacchetto antiterrorismo”) soltanto tre giorni dopo la sua emanazione, lascia chiaramente comprendere i termini del problema. L’esigenza di alzare il livello di sicurezza è reale e seriamente percepita in questi termini dal nostro Legislatore.
Il pericolo di attentati non può essere sottovalutato neanche di fronte a deboli prove di minacce o di attacchi terroristici. Nessuno è in grado di prendersi la responsabilità di sottovalutare questo pericolo. Oggi, pertanto, nel cittadino è diffusa la paura e quindi la richiesta di sicurezza anche a scapito di una porzione della propria libertà. E’ su questa prevalenza che vogliamo soffermarci, riflettendo se non sia meglio ricercare un giusto equilibrio tra sicurezza e privacy piuttosto che vedere la prima prevalere sulla seconda.
La sicurezza dei cittadini, delle infrastrutture critiche (informatiche e non) di un paese, necessitano maggiore attenzione rispetto al passato. All’aumento del controllo sui dati da parte dei soggetti preposti deve contrapporsi un aumento della soglia di attenzione e di vigilanza. E’ fondamentale scongiurare possibili abusi che la normativa anti-terrorismo può determinare.
Le norme della legge n.155/2005, in particolari situazioni, affievoliscono il diritto alla privacy. Lo comprimeranno fino al 2007 (art. 7 L. n. 155 del 31 luglio 2005). Oggi il diritto alla riservatezza dei dati personali è ancora in vigore, subisce un affievolimento in presenza di interessi superiori o comunque di pari grado e solo in seguito all’intervento della magistratura (questa circostanza rende tra l’altro difficilmente configurabili le eccezioni di incostituzionalità ai sensi dell’art. 15 Costituzione).
Per onestà intellettuale non va taciuto che la normativa recente contiene un elemento di compromesso in favore del diritto alla riservatezza dei cittadini perché consente di escludere dal monitoraggio a fini investigativi il contenuto delle comunicazioni.
Avvitarsi in discussioni e polemiche (spesso dietrologiche) non porta a nulla, anzi, rischia di essere pericoloso e controproducente proprio per le stesse libertà del cittadino. E’ opportuno pertanto spostare l’ottica su un aspetto diverso. In uno stato di diritto, ai maggiori controlli sui dati personali e in presenza di limitazioni della libertà del cittadino (sempre soggette al vaglio della magistratura), deve essere contrapposto un sistema in grado di punire gli eventuali abusi che la normativa può determinare. Il Codice della privacy (Dl.g.s. n. 196/03) contiene gli strumenti per prevenire e punire questi abusi. Ma manca qualcosa, o meglio, occorre far funzionare nel migliore dei modi questi strumenti.
Ad una forzata compressione del diritto alla riservatezza dei cittadini (non assoluta bensì relativa ai casi particolari previsti) deve opporsi effettivamente un’ azione e una tutela concreta da parte dell’ Autorità Garante per la protezione dei dati personali. Può sembrare un paradosso ma è evidente la semplicità di tale affermazione.
Se aumenta il trattamento dei dati (per finalità antiterrorismo) è giusto che ci siano più garanzie e che gli occhi di chi vigila siano più aperti. La crescita esponenziale dei dati e del numero dei cittadini controllabili non può non portare ad un aggiustamento normativo e ad un effettivo potere di intervento e di controllo del Garante nell’applicazione della normativa antiterrorismo. La fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nelle leggi deve essere conquistata giorno per giorno.
L’esigenza di sicurezza è purtroppo in crescita e risente sicuramente di atteggiamenti emotivi. Ma è un dato di fatto difficilmente eliminabile nel breve periodo e con il quale occorre fare i conti. Questa esigenza non nasce con i fatti dell’11 settembre: nasce precedentemente; nel 2001 viene solo percepita a livello globale in tutta la sua drammaticità. Oggi, una scelta di campo netta a favore di una riservatezza assoluta dei dati personali a scapito della sicurezza, non è concretamente proponibile e rischia di veder prima o poi soccombere la privacy in modo definitivo.
E’ senza dubbio più opportuno cercare una mediazione tra sicurezza e privacy, contemperando i due opposti interessi attraverso pesi e contrappesi che soddisfino con la giusta misura entrambe le esigenze: arrivare ad una Securacy, appunto.
Sicurezza e privacy sono destinate a crescere forzatamente insieme ed è importante che rimangano legate l’una all’altra in modo da ritrovare sempre il giusto equilibrio. La speranza è lo sviluppo di una cultura in questo senso. Bisogna evitare che, in futuro, scorciatoie legislative dettate da possibili (ma mai auspicabili) eventi delittuosi possano eliminare le garanzie che rimangono. In tal caso, a noi, non resterà che il mero ricordo di che cosa era la “privacy”.
Stefano Aterno
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