Quando l’informatica domestica negli Stati Uniti dei primissimi anni Ottanta aveva portato in tante case un AppleII, anche la pirateria aveva cominciato a fare il suo corso. Tanti di quei ragazzini che si passavano i giochi freschi di uscita formarono dei gruppi (Wareforce, BlackBag, Miami Vice etc.), la concorrenza era serrata e bisognava distinguersi, far circolare il nome del proprio team pur mantenendo l’anonimato a scanso di guai con la giustizia: i vari Mr.Chips, Disk Destroyer e Incognito assunsero tali “handles”, ovvero identità fittizie, sulla falsariga degli hacker.
Lanciando un qualsiasi Karateka o Mr.Do! ottenuti sottobanco, appariva prima una schermata col logo del gruppo che lo stava diffondendo e il messaggio scorrevole dei pirati coi numeri delle loro BBS, elenco dei membri seguito da sfottò contro gli avversari. Era in corso una incruenta guerra per la supremazia, al pari della breakdance nata negli stessi anni al fine di risolvere senza spargimenti di sangue le contese tra gang, la bravura era l’unico metro di giudizio.
A ballare sullo schermo furono lettere, loghi e colori, era arrivato il C64 e il livello tecnico delle cracktro (così si chiamano le introduzioni ai giochi pirata) ne aveva risentito in positivo: debuttò il sinus scroll, in pratica lo scorrimento sinusoidale del testo, fu sfondata la barriera dell’overscan come in “See & Die” dei 1001 Crew (1986) raggiungendo anche i bordi dello schermo sino ad allora inaccessibili e il numero di oggetti in movimento superò il limite canonico di 8 sprites contemporanei (tecnica dello sprites multiplexor).
Tra l’85 e l’86 la demoscena si stava affrancando dalle sue origini illegali mostrandosi anche senza un software copiato da presentare, dalle cracktros si era giunti alle demos, più grandi, occupavano da sole tutto il dischetto, e fini a se stesse; di quel periodo “Borderletter” dei 1001 Crew sul Commodore 64 e “Castor Intro” dei CCG su Spectrum.
Attorno ai più bravi, “élite” o “cool” per usare il gergo proprio della demoscena, si sviluppa un culto della personalità da parte dei neofiti, essi formano una ristretta cerchia, custode di ogni segreto dell’hardware e delle tecniche software, i gruppi di cui fanno parte tenderanno ad essere elitari a loro volta accettando solo gente che abbia pari competenze, in un ambiente in cui chiunque si può autodichiarare scener: questa è la soglia che divide i miti dalla massa. Sul lato opposto della scala di valori si collocano i “lamers”, gli incapaci e fanfaroni bravi a parole ma meno sulla tastiera, le cui produzioni sub-standard per giunta riciclano lavoro altrui passandolo per proprio (questo fanno i “rippers”).
Le figure si specializzano, dalla one man band si biforcano ruoli come grafico e musicista mentre il trader via BBS e lo swapper via posta si occupano di diffondere le nuove release. Alcuni gruppi muoiono, altri si fondono (l’unione per eccellenza fu tra Tristar e Red Sector in TRSI nel ’90), le BBS pubblicano il resoconto di questi cambiamenti ma non tutti hanno un modem, crescono le diskmags, riviste su floppy ricche di contenuti editoriali non solo statistici quali Grapevine, ROM o RAW.
In Scandinavia la densità di sceners è abbastanza alta da giustificare eventi dove riunirsi, prima si parassitano i copyparties dei pirati poi nascono The Gathering in Norvegia, The Party in Danimarca e il più grande in assoluto, Assembly in Finlandia.
Le abilità estreme di questi ragazzi non sfuggono all’industria videoludica , vengono reclutati per creare giochi che abbattano le barriere della macchina, tra i tantissimi Bob Stevenson, nick “BOB”, grafico di “Salamander” e “I.O.”, Jeroen Tel dei “Maniacs of Noise”, o Danny/TBL dietro a Tomb Raider. Il trend non si è mai arrestato, dietro a quasi tutti i titoli di successo odierni c’è un gruppo di ex-demoscener tipo i Future Crew per “Max Payne”.
Amiga, il computer che si era presentato al mondo con una demo, la celeberrima Boing Ball , stava diventando la piattaforma per eccellenza della demoscena prescelta da Alcatraz, Spaceballs, Scoopex, Sanity e tutti i nomi che contano creando “Ilyad”, “Nine Fingers”, “World of Commodore” ed altri. I suoi chip custom sembravano fatti apposta per prestarsi all’hardware bashing più sfrenato, per gli autori non si trattava ormai di mostrare solo quello che sulla carta fosse impossibile ma si insinuava il concetto che si potesse e dovesse fare anche computer arte in tal senso (la cosiddetta Scene poetry ). A quei tempi fare demos su PC significava affrontare enormi limitazioni tecniche con CGA e beeper unici minimi comuni divisori su cui contare .
Infatti, anche col progresso tecnologico che investiva gli IBM compatibili, non era possibile andare a sfruttare i registri di basso livello e allo stesso tempo essere sicuri che la propria demo girasse ovunque. Nel 1990-1991 il PC è in grado di lanciare la sfida delle produzioni 3D ad Amiga, parte con “VectDemo” degli Ultraforce e continua con le creazioni dei Future Crew ( Unreal e Second Reality cui l’ammiraglia Commodore risponde con Desert Dream dei Kefrens e “Arte” dei Sanity .
Da quel momento è tutto un susseguirsi di Gouraud shading, Phong shading, texture mapping, bump mapping rigorosamente software.
Le parti si invertirono, non più il PC a rincorrere gli effetti bidimensionali di Amiga ma quest’ultima a tentare di riprodurre le imprese tridimensionali del primo. Era un confronto iniquo, l’hardware delle macchine x86 veniva aggiornato ad un ritmo frenetico e si giunse ad una spaccatura tra chi decise di ottenere sempre il meglio dalle ultime novità del mercato e coloro che videro nell’hardware obsoleto e limitato dei vecchi sistemi la sfida da affrontare.
Ad oggi le release si suddividono in due filoni principali: quelle per Windows/Linux e, seppur rare, Mac , di stile cinematico, il lavoro sporco viene assolto da Photoshop, campioni MP3 e librerie software pubbliche assistiti da CPU e GPU lasciando agli sceners mansioni di sceneggiatura e montaggio. In questo trionfano Farbrausch e Andromeda , mentre gli oldschoolers hanno abbracciato le piattaforme dalla potenza limitata su cui implementare effetti in teoria irrealizzabili, vedasi Numen per Atari800 o Edge of Disgrace su C64.
La Demoscena sembra incapace o renitente ad uscire dalla nicchia, ma il patronato di Sony a Linger in Shadows per PS3 o la democompo sponsorizzata ogni anno da Intel potrebbero essere le occasioni giuste, non resta che attendere.
Fabrizio Bartoloni
Tutti gli interventi di F.B. su PI sono disponibili a questo indirizzo