Un sistema uniforme e armonizzato per la classificazione dei prodotti videoludici in base ai contenuti, un sistema di valutazione che eviti le censure e che favorisca un consumo appropriato dei game. A chiederlo è la Commissione Europea, per indirizzare sui giusti binari un settore del mercato in crescita vertiginosa.
La correlazione tra violenza simulata su uno schermo e violenza reale è ancora oggetto di discussione, ma la furente apprensione di famiglie preoccupate per i propri figli e la complicità dei media stanno innescando dinamiche pericolose a livello del quadro normativo. Ci si spinge ad impedire la vendita di certi titoli , si propongono disegni di legge di spiccata natura censoria, ci si concentra sul proibizionismo piuttosto che agire sulla responsabilizzazione delle famiglie.
La Commissione Europea ha analizzato la situazione nei 27 stati membri e ha riscontrato un quadro estremamente frammentario: esistono paesi come Romania e Lussemburgo in cui il settore videoludico è totalmente ignorato dal legislatore, esistono paesi come Italia e Regno Unito , in cui lo stato ha la mano pesante nel gestire la dieta mediatica dei propri cittadini . L’elemento che meglio accomuna gli stati membri è il sistema di classificazione Pan European Game Information ( PEGI ), un’ iniziativa degli attori dell’industria di settore sollecitata e supportata dalla stessa UE.
Adottato in 20 dei 27 stati membri, il sistema di classificazione fornisce agli acquirenti dei game significativi dettagli relativi al contenuto dell’opera: vengono fornite indicazioni riguardo all’età minima consigliata per la fruizione del gioco, viene segnalata la presenza di turpiloqui o di esacerbazioni della violenza, la presenza di immagini pruriginose o capaci di incutere terrore nelle persone più sensibili. “Il PEGI, in quanto esempio di autoregolamentazione responsabile dell’industria e unico sistema di questo genere con ambito di applicazione quasi paneuropeo, rappresenta certamente un ottimo primo passo” ha spiegato Viviane Reding, commissario UE responsabile per la Società dell’informazione e i media. Ma gli sforzi profusi finora per incoraggiare una fruizione salutare del prodotto videoludico non sono sufficienti : “Ritengo che possa essere notevolmente migliorata, in Europa e altrove, sensibilizzando maggiormente il pubblico alla sua esistenza e dando piena attuazione a PEGI Online”, vale a dire il sistema di classificazione dedicato al gaming in rete.
Reding spinge quindi industria e famiglie ad una più fruttuosa opera di comprensione reciproca : da una parte si dovrà spingere sulla sensibilizzazione e sulla responsabilizzazione e creare un codice di condotta comune fra i rivenditori, dall’altra le famiglie, ancora sorde ai sistemi di classificazione, dovranno mostrarsi meno restie a tradurre il proprio atteggiamento indignato in una concreta azione di controllo sui pargoli.
Il commissario UE, inoltre, non esclude che sia necessario che gli stati intervengano a favore dei consumatori: l’azione regolamentare si dovrà però condurre senza intaccare i diritti degli autori dei game . Le sortite delle autorità, le interdizioni promosse dalle istituzioni spesso non nascono da una reale comprensione del fenomeno videoludico: sovente i governi si limitano a smanacciare in maniera disordinata per colpire ciò che ha scosso l’opinione pubblica. Quello che Reding intende prevenire sono i provvedimenti proibizionisti e sbilanciati come quello italiano :
in Italia, un provvedimento avrebbe dovuto istituire un sistema di classificazione più severo rispetto al PEGI, capace di sovrapporsi ad esso.
Gaia Bottà