I servizi a larga banda wireless 5G bussano alle porte dell’Europa, occorre fare spazio per farli entrare. Ciò vuol dire, in pratica, liberare le frequenze più idonee, quelle capaci di attraversare meglio gli ostacoli, come già accaduto per i servizi 4G LTE (Long Term Evolution). Frequenze che, anche in questo caso, sono in uso alle emittenti televisive. Mentre per i servizi 4G si è trattato di cambiare la destinazione d’uso della cosiddetta “banda 800 MHz” (i canali da 61 a 69 della UHF), per il 5G si chiede all’emittenza nazionale di rinunciare a ben 12 frequenze, la “banda 700 MHz”, comprese fra i canali TV 49 e 60.
Frequenze attualmente utilizzate da operatori nazionali e locali (Mediaset, ad esempio, ha in uso in tutta Italia i canali 49, 52, 56 per i suoi programmi in chiaro e criptati in pay TV). Poiché tali operatori sono in possesso di regolari licenze valide fino al 2032, si impone una riassegnazione delle frequenze rimanenti (cosiddette “sub 700”), che si riducono a 28 dalle attuali 40.
La banda 700 MHz risulta, per motivi legati alla propagazione elettromagnetica, particolarmente idonea alla fornitura di servizi mobili (4G, 5G e oltre) all’interno degli edifici in aree urbane densamente popolate e può costituire una soluzione immediata ed efficiente, in questo senso ottimale nel breve-medio termine, per la fornitura di servizi a banda larga in aree rurali. Una volta liberata sarà oggetto di un’asta per l’assegnazione di porzioni agli operatori di telefonia mobile con lo scopo di utilizzarle per i servizi 5G, in linea con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea e del documento Strategia italiana per la Banda Ultralarga , presentato dal Governo italiano nel marzo 2015.
La questione riveste quindi una notevole importanza, per il gran numero di attori coinvolti: l’industria radiotelevisiva e delle tlc, da un lato; le istituzioni europee e italiane dall’altro; in mezzo, la massa dei telespettatori e consumatori italiani.
Il futuro della banda UHF
Tutto ha inizio con la riorganizzazione dello spettro radio effettuata dalla “World Radiocommunication Conference 2012” dell’ITU (WRC-12), che riallocava lo spettro 694-790 MHz (banda 700 MHz) nella Regione 1 (Europa, Federazione Russa e gli altri paesi ex-URSS, Africa e Medio Oriente) ai servizi mobili a partire dal 2015 e il conseguente Programma Europeo sullo Spettro Radio , a cura dell’organo consultivo della Commissione in materia di politiche del radio spettro RSPG. Un termine, quello del 2015, che a molti apparve troppo ravvicinato, al punto da indurre la Commissione Europa a incaricare Pascal Lamy, già direttore del WTO e presidente di una Commissione ad Alto Livello, di redigere uno studio sull’utilizzo futuro della banda UHF.
Ecco nel settembre 2014 il Rapporto Lamy e il conseguente WRC-15 dell’ITU, che ha fissato il termine per la riallocazione della banda 700 MHz fra il 2020 e il 2022. Ed è proprio su queste date che si gioca la partita fra gli operatori dell’industria radiotelevisiva (riuniti sotto l’egida di Confindustria Radio Televisioni), le associazioni dei consumatori e le istituzioni europee: i primi chiedono che il cambio di destinazione d’uso della banda 700 MHz non avvenga prima del 2022, la Commissione Europea, con la Proposta di Decisione (COM 16 207), vorrebbe anticiparlo al 2020. A complicare ulteriormente la questione c’è l’assoluta necessità di un coordinamento che armonizzi le modifiche all’utilizzo dello spettro radio a livello europeo al fine di evitare interferenze fra i paesi confinanti.
Ad esempio, per l’Italia i problemi potrebbero sorgere con Francia, Croazia, Slovenia, Albania, Tunisia, Algeria, Malta. I cugini d’Oltralpe, in particolare, sono intenzionati ad accelerare sull’evoluzione dei servizi 5G, per cui hanno già deciso la cessione della banda 700 MHz per il 2017; una data irrealistica per il nostro Paese. L’armonizzazione fra i vari paesi confinanti è d’obbligo non soltanto per uniformare la data di partenza dell’utilizzo dei servizi 5G sulla banda 700 MHz, ma anche per riassegnare alla TV digitale terrestre le restanti 28 frequenze, dal momento che solo la metà di queste sono utilizzabili liberamente, per le altre si deve tenere conto delle interferenze transfrontaliere.
Come si vede, la materia è complessa, e le soluzioni tecniche a disposizione dei decisori lo sono altrettanto. Le posizioni degli operatori di rete aderenti a Confindustria Radio e Televisioni e quelle della Commissione Europa sono riportate nella tabella che segue, messe a confronto con le indicazioni emerse dal Rapporto Lamy.
Conclusioni
Da tutto quanto esposto sopra emerge che: il futuro della banda UHF appare segnato e dopo il 2032, termine di scadenza delle attuali licenze di trasmissione, questa potrebbe essere destinata interamente (o prevalentemente) ai servizi a banda larga wireless. Al momento, comunque, resta adibita ai servizi televisivi la porzione compresa fra i canali 21 e 60, mentre si sta discutendo la sorte della cosiddetta “banda 700 MHz”, ovvero dei canali compresi fra il 49 e il 60: 2020, come vorrebbe la Commissione Europea, o 2022 come consente il Rapporto Lamy e come desidererebbe l’industria televisiva?
Il Governo italiano sembrerebbe orientato verso quest’ultima soluzione, come è emerso dalla seduta dello scorso 10 marzo della Commissione VIII “Lavori Pubblici e Comunicazioni” del Senato della Repubblica, chiamata a pronunciarsi sulla “Proposta di Decisione della Commissione UE circa l’utilizzo della banda UHF 470-790 MHz nella UE”. Il parere della Commissione contiene elementi condivisi da Confindustria Radio Televisioni, in quanto riconosce come il vincolo del cambio destinazione della banda 700 entro il termine inderogabile del 2020 appaia eccessivamente stringente e che sia necessario prorogarlo al 2022. Ma riconosce anche agli Stati membri flessibilità nel valutare caso per caso la possibilità di utilizzare la banda “sub700”, oltre che per i servizi televisivi, anche per quelli mobili in modalità “downlink only”, in base alle esigenze di mercato e alla porzione di spettro effettivamente disponibile.
Un orientamento non condiviso dall’industria radiotelevisiva, poiché non assicurerebbe al settore un orizzonte certo per uno sviluppo sostenibile e ordinato, come invece prevedono il Rapporto Lamy, l’RSPG e la Conferenza di Ginevra WRC 2015. Intanto, nella riunione del 16 maggio, i governi dei paesi europei, tramite il Coreper che è l’organo di preparazione del Consiglio europeo, si sono espressi per la data del 2020, pur accogliendo la possibilità che alcuni paesi possano ritardare di un massimo di due anni per giustificati e gravi motivi (problemi di interferenze; necessità di garantire la migrazione tecnica a un nuovo standard di trasmissione a un’ampia fetta di popolazione; costi di transizione superiori ai ricavi attesi dall’asta di assegnazione). Ora non resta che attendere le decisioni del Consiglio, che si riunirà il prossimo 26 maggio.
Pierluigi Sandonnini