La guerra in Ucraina ha aperto un fronte anche online: in ballo – per il momento – la verità circa l’ultimo drammatico evento dello scontro, la caduta di un aereo civile nel paese, la morte delle 298 persone a bordo, le relative responsabilità per l’accaduto. La vicenda riguarda la voce russa Wikipedia contenente una lista di incidenti aerei relativi all’aviazione civile e nel dettaglio la parte in cui parla proprio del volo MH17 della compagnia aerea Malaysian abbattuto in Ucraina pochi giorni fa.
Le indagini sul caso, sulle responsabilità e sui coinvolgimenti, sono ancora in corso e non sembrano destinate a concludersi velocemente: tuttavia su Wikipedia c’è già la volontà da parte della Russia di imprimere la propria verità, in modo tale da distogliere o attirare l’attenzione dei netizen su un particolare o su un altro. Ad accorgersi dell’interventismo online di Mosca è stato l’account Twitter @RuGovEdits , che monitora gli interventi su Wikipedia da parte di IP controllati dal governo russo.
D’altra parte, il paese di Putin dimostra di non avere scrupoli a intervenire direttamente sulla verità fotografata da Wikipedia: a farne una lista completa , per esempio, è stato il programmatore norvegese Jari Bakken che conta, negli ultimi 10 anni (ma soprattutto negli ultimi 4), almeno 7mila modifiche anonime apportate alle pagine russe dell’enciclopedia che sarebbero riconducibili ad IP legati al governo di Mosca.
Da ultimo, @RuGovEdits ha rilevato l’editing ora apportato dall’emittente statale radiotelevisiva russa VGTRK alla pagina relativa ai disastri aerei. In particolare, le modifiche di cui si parla riguardano la descrizione dell’abbattimento del volo MH17 e delle relative colpe. Secondo una precedente versione responsabili erano “dei terroristi dell’auto-proclamata repubblica popolare di Donetsk, che hanno sparato all’aereo con il sistema missilistico Buk, ricevuto dalla Federazione russa”: nella nuova versione si legge semplicemente che l’aereo è stato colpito “dai soldati ucraini”. Senza più alcun riferimento a Mosca.
Claudio Tamburrino