Telefonia mobile in crescita e Internet che zoppica a cavallo di connessioni satellitari. Questo il quadro della connettività di un’Africa tutt’altro che omogenea, tracciato dal New York Times attraverso l’esempio del Ruanda.
La mappa della connettività africana mostra con chiarezza come siano l’area settentrionale e l’estremo Sud ad alzare la media continentale , facendola assestare su un 4 per cento scarso di persone collegate in Rete . Dati che collimano con quanto emerso da un recente rapporto BMI-TechKnowledge : regna il silenzio oltre la barriera del digital divide, edificata sugli abusi di operatori monopolistici, su infrastrutture vacillanti, sulla corruzione o sul lecito disinteresse di governi impegnati su altri fronti.
Quella disegnata dal NYTimes è un’Africa che deve l’unica sua connessione all’infrastruttura globale ad una dorsale che percorre le sue coste occidentali, per poi discostarsi dal continente nella zona Sud orientale. Un collegamento mancante che la Banca Mondiale sta tentando di colmare, non senza incappare in ritardi e nell’ ostruzionismo dei governi locali, riporta Mail & Guardian Online .
Una situazione che fa temere che l’Africa possa non arrivare mai a fruire di Internet : i tempi per fornire un servizio paragonabile a quelli offerti nel resto del mondo continuano a dilatarsi, costringendo vaste aree del continente africano ad affidarsi alla lenta e costosa connettività satellitare , ad usufruire di una rete Internet e telefonica il cui 75 per cento del traffico interno viene fatto rimbalzare all’estero , moltiplicando spropositatamente il prezzo dei servizi.
È questo un contesto ben ritratto del Ruanda, stato dilaniato dalle guerre civili, privo di risorse naturali o di snodi commerciali che possano garantire le basi per lo sviluppo di un’economia tradizionale. Uno stato nel quale lo sviluppo delle TLC sarebbe determinante, potendo sperare solo in un’economia della conoscenza. Ma il Ruanda può vantare solo l’ 1 per cento di popolazione connessa , una percentuale estremamente bassa, imputabile innanzitutto a lacune di natura infrastrutturale, che contribuiscono a mantenere il costo dei servizi a livelli inarrivabili.
È vero che i prezzi della banda si sono ridotti rispetto al 2003, quando Internet era un servizio più che elitario, per i pochissimi in grado di spendere oltre settecento euro al mese. Ma i 65 Euro di canone mensile, 45 per il servizio wireless satellitare, restano una spesa che il ruandese medio non può permettersi di affrontare.
È questo il contesto in cui si è mossa Terracom , compagnia americana che nel 2003 aveva promesso di innervare il Ruanda di connessioni a banda larga. Una situazione complessa da gestire, soprattutto senza una conoscenza approfondita delle condizioni in cui versa il paese e senza una presenza costante sul territorio , che avrebbero consentito di stilare piani più realistici, invece che promettere di portare Internet presso centinaia di scuole senza essere informati riguardo alla diffusione della rete elettrica .
Una circostanza che ha portato a rettifiche dei piani, alla necessità di puntare sulla più redditizia telefonia mobile, ad accordi commerciali che hanno suscitato l’intervento punitivo del governo, a cui è seguita una gestione delle strategie più accorta e partecipe, accompagnata da sprazzi di ottimismo. Entro la fine dell’anno, in coincidenza con l’avvio del programma One Laptop Per Child , Terracom prevede di poter garantire l’accesso a Internet da tutto il territorio del Ruanda, mentre il governo sta stringendo accordi con le compagnie sudafricane per cablare in fibra il territorio nazionale, e dare una scossa ad una mercato stagnante.
Certo, come ammesso da Microsoft, le grandi aziende impegnate in ambiziose iniziative a sfondo filantropico non rinunciano alla componente del business. Le iniziative, spesso bollate come manifestazioni del più bieco imperialismo, si rivelano però un catalizzatore capace di innescare circuiti economici virtuosi . Stabilire connessioni e rapporti con tutto il mondo significherebbe, per molti stati africani, dotarsi dei mezzi per rendere più profittevoli economie basate sull’esportazione di prodotti da cui il Nord del mondo dipende, consentirebbe di vigilare sui prezzi in ambito internazionale e locale, stimolando la competitività. Offrirebbe anche alle più remote comunità rurali la possibilità di essere raggiunte da programmi di formazione e di telemedicina simili a quello illustrato da BBC , contribuirebbe a costruire e a dare voce ad una società civile.
Gaia Bottà