Da sempre chi ha bisogno di una velocità garantita e di prestazioni elevate non fruisce delle infrastrutture tradizionali ma si appoggia a società che provvedono a dare loro la connettività sicura e potente di cui hanno bisogno. GARR fa questo, fornisce servizi di rete e connettività per comunità di utenti che fanno capo a se stessi. GARR quindi è un’associazione e non un service provider, si tratta di utenti che si forniscono da soli la connettività possibilmente in maniera avanzata oltre i tradizionali service provider. Questo è vero specialmente in ambito di ricerca poiché GARR è l’unica rete che si connette ad internet2 senza passare per provider commerciali , dunque i suoi utenti sono per esempio università, enti di ricerca, comunità che fanno educazione o che si occupano dei beni culturali, di medicina, di scienze umanistiche.
E proprio per incoraggiare l’applicazione di tecnologie che sfruttino una connettività avanzata GARR ha dato vita a Network Humanitatis , una tre giorni di alto profilo, che ha l’obiettivo di mettere insieme umanisti e tecnici, mostrando ai primi cosa può fare la tecnologia per le loro scienze.
Alla conferenza era presente Claudio Allocchio , responsabile dei servizi applicativi per GARR, con cui Punto Informatico ha avuto l’occasione di approfondire questi argomenti.
Punto Informatico: Qual è il senso di Network Humanitatis?
Claudio Allocchio: È una sfida a noi stessi, per far interagire la parte umanistica delle scienze e della comunità, per non limitarci sempre alle tradizionali figure scientifiche. Vogliamo portare l’infrastruttura a quelli che non sanno come usarla o lo sanno ma non sanno interagire con noi perché non ci conosciamo.
Per esempio alcuni DAMS di grandi città italiane oltre ad avere l’infrastruttura per le lezioni sono collegati per Gigabit e Gigabit alla rete ma non sanno come usarli. Questo perché manca la cultura informatica nei professori di materie classiche.
PI: Ma le vostre infrastrutture a che punto sono? Cosa possono supportare e offrire?
CA: La rete GARR ha un’infrastruttura che sta facendo un deciso salto di qualità, stiamo passando da circuiti e oggetti presi in affitto a comprarci le fibre ottiche da soli e illuminarle da soli, diventando quindi proprietari dell’infrastruttura. Questo ci consente chiaramente di fare delle cose che prima non potevamo fare, anche proprio dal punto di vista economico.
Per esempio per questa conferenza abbiamo portato in questo teatro una connettività a vari gigabit ed è stato necessario prendere una fibra usata per fare un circuito, spegnerlo e illuminarla noi. Così abbiamo ottenuto n circuiti a vari gigabit a costo nullo perché gli apparati una volta comprati sono poi di proprietà.
PI: Cose applicabili anche ad un’utenza più tradizionale?
CA: Stiamo cercando di portare questo tipo di tecnologia sul backbone e poi in casa dell’utente, per esempio favorendo lo sviluppo delle MAN (Metropolitan Area Network) in cui vari utenti GARR si mettono insieme e comprano una fibra che, oltre a poterla usare come ultimo miglio , può essere usata anche per fare conversazione tra di loro.
PI: Di che potenzialità stiamo parlando?
CA: Il backbone di base va a multipli di gigabit e tra poco passeremo a multipli di decine di gigabit. La nostra idea comunque è di portarli in maniera bidirezionali agli utenti, quindi diversamente da come fanno gli ISP, perché i nostri utenti più che scaricare condividono. Per questo i modelli tradizionali di ADSL per noi non possono funzionare.
PI: Ecco, quali sono le principali applicazioni di quest’infrastruttura?
CA: La parte tradizionale è di e-learning, per esempio oggi c’è una parte di conferenza che mostra come l’e-learning necessiti di feedback per capire come lo studente impari, poi c’è tutta la parte di comunicazione scientifica che è molto importante, ma vogliamo portarla anche a quegli utenti che sono spaventati dalle tradizionali interfacce, creando un’interfaccia umana al sistema di rete che sia diversa dal classico PC, schermo e tastiera .
PI: Una cosa che stanno provando a fare in molti…
CA: Sì, ma c’è un aspetto tecnologico che rende questo obiettivo difficile da raggiungere, perché bisogna interagire con l’essere umano e i suoi sensi, implicando anche la rilevazione del corpo umano nello spazio (cioè un’interfaccia umana portata all’estremo).
PI: È molto tempo che si sente parlare di applicazioni di questo tipo ma nella pratica quanta domanda c’è?
CA: Anche noi pensavamo fossero di nicchia, qualcosa riservato a poche demo e un piccolo pubblico, ma per questa conferenza ci sono arrivati 40 contributi dall’utenza. Da qui abbiamo capito che la domanda è maggiore di quel che si creda. Poi è difficile rispondere perché spesso ci si interfaccia con gente che non ha un’elevata cultura tecnologica, ma magari hanno idee buone che possono essere sviluppate. Come per esempio il problema della latenza, utile in molte applicazioni.
PI: Partendo proprio da questo problema, dove si vuole arrivare?
CA: Stiamo ancora cercando di avere a disposizione l’enorme mole di dati della rete in tempo reale per fare on demand la ricostruzione di un sito archeologico antico, non presentando solo i classici dati visuali, ma avendo anche dati sul tempo il clima, cosa crescevano le colture sui campi ecc. ecc. E poi magari capita (come è capitato) di scoprire che un villaggio in Fenicia non è stato distrutto da un’invasione come si pensava, ma dal fatto che un’eruzione dell’Etna ha generato uno tsunami che ha raso tutto al suolo. A questo ci si è arrivati mettendo insieme database diversi attraverso una griglia informatica, scoprendo una teoria sbagliata e correggendola.
PI: Se non sbaglio si tratta più che altro di applicazioni efficaci di cose che si dicono da molto tempo. Dunque le idee sono sempre le stesse ma solo ora le riusciamo a mettere in pratica?
CA: Esatto. Basti pensare che la telecontiguità nasce nel 1800, quando si immaginavano di toccarsi in qualche modo a distanze proibitive. E oggi quasi ci arriviamo.
PI: Un altro esempio. Per il progetto Culture@Garr puntate molto sullo streaming audio/video, perché usare una tecnologia ancora diversa da tutte le altre come il DVTS?
CA: Per noi il vantaggio del DVTS è che diversamente dalle altre tecnologie di trasmissione non comprime i dati e quindi riduce tantissimo la latenza, cosa che nella comunicazione e nell’interazione tra umani è importante.
PI: Che potenza ci vuole per gestire una simile trasmissione non compressa?
CA: La trasmissione è su protocollo UDP con uno streaming fisso senza compressione, senza una VPN, ma con infrastrutture nostre. Diciamo che con una 100MB condivisa già va bene.
PI: Per quanto riguarda la connettività in zone difficili da raggiungere?
CA: Pensiamo anche a quello, è un campo che sperimentiamo specialmente con applicazioni mediche. Dalla parte già vista sul telemonitoring e i controlli sull’ambiente del paziente o sulla consulenza di un medico a distanza (magari dall’elicottero prima che si arrivi sul luogo di un incidente), fino alle demo su robot e manichini di operazioni chirurgiche. L’idea è che con latenza certa e ritardo certo si possa anche operare il paziente a distanza, qualora non ci fosse in loco qualcuno in grado di intervenire (in questo poi c’è tutta la parte di gestione della privacy dei clienti per il consulto che è molto spinosa). E poi serve una bella rete per portare in massima risoluzione e velocemente immagini ad altissima risoluzione per poter vedere tutti i dettagli dello stato di un paziente.
PI: Per vedere una cosa simile applicata nella vita quotidiana ci vorranno anni!
CA: Almeno 5 anni secondo me.
PI: Per l’applicazione tecnica, ma poi quanti medici vorranno effettivamente fare un’operazione a distanza quando sarà possibile?
CA: Questo è un grosso problema ma dipende dall’età del medico. In Friuli già 5 anni fa è stato deciso che tutti i medici dovevano avere PC con ADSL in ambulatorio. Poi chi ha 60 anni usa il PC per ricette e basta, ma uno della mia età già si informatizza a poco a poco.
PI: Ma chi prende le decisioni poi ha sempre una certa età
CA: Esatto. In questo come in altri ambiti ci sono 3 categorie principali di utenti. Chi prende le decisioni, persone che usano ancora il telefono e guardano Skype con sospetto; quelli di mezzo, che usano questi strumenti e tentano anche di fare qualcosa in più, lottando con i primi per fargli prendere certe decisioni; e poi quelli di domani, che non vogliono sapere nulla del telefono ma nemmeno della videoconferenza classica e vogliono usare telefonini e peer to peer.
a cura di Gabriele Niola