Cassandra oggi ha visto passare su Slashdot una notizia relativamente poco importante in sé, ma che rappresenta un “buon cattivo esempio” e per questo merita ampio commento.
In breve, Amazon ha comunicato che può rendere disponibili agli sviluppatori di applicazioni terze parti di Alexa le trascrizioni di quanto viene ascoltato da Echo (l’hardware tramite cui si comunica con Alexa).
Quindi le rassicurazioni che leggiamo così spesso in casi come questo ( dati aggregati, non registrati, scartati dopo l’uso, non ceduti a terzi ) non sono evidentemente applicabili.
C’è qualcosa di strano? No, e per almeno due ragioni.
La prima è che per una Big Data company è perfettamente ragionevole prestare tutta l’assistenza possibile agli sviluppatori esterni, che forniscono valore alla piattaforma creando innovazione .
La seconda è che Amazon ha annunciato di fare quello che, senza particolari annunci, Google fa già da tempo con la sua piattaforma Google Home , la cui unica differenza con Echo Alexa risiede probabilmente nel colore. E se lo fanno loro che non sono “evil”…
Se credete invece che Amazon debba essere più “corretta” verso i suoi utenti finali dell’arcirivale Google, concedendogli così un vantaggio, dovreste scendere dall’albero su cui evidentemente avete vissuto dalla nascita e vedere cosa succede davvero nel mondo reale delle multinazionali e dei Big Data.
Google possiede molti più dati di Amazon, e le fa molta paura per questo; infatti sta cercando di scalzarla dalla posizione “storica” di vantaggio nello strategico settore degli “assistenti personali” (leggi AI).
Dopo quello dei Big Data, il nuovo business del terzo millennio, ne sono convinte tutte le aziende in tutti i settori attinenti l’Information Technology, sarà quello dell’ intelligenza artificiale . Alexa e Home ne sono sicuramente due embrioni, e nessuno vuole arrivare secondo in una gara come questa. Ogni altra considerazione è irrilevante.
Consoliamoci pensando che, nel secondo millennio, per business di questa dimensione si sono combattute guerre, e che quindi oggi, almeno da questo punto di vista, stiamo meglio.
Concludendo, non è colpa delle multinazionali se i nostri dati, anche quelli riservati, vengono registrati e sparsi ai quattro venti? Non dovremmo criticarle per questo?
No, non è colpa di Google od Amazon, che in quanto multinazionali hanno un solo fisiologico scopo, quello di pagare dividendi ai loro azionisti. Non è logico, né lecito, aspettarsi niente di diverso.
Non è colpa nemmeno dei poveri paranoici come Cassandra, responsabili al massimo di non essere stati abbastanza paranoici, ma sempre inguaribili ottimisti.
Ancora una volta, infatti, se volete trovare i responsabili, non avete che da guardarvi allo specchio .
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