Il sogno di ogni mission-control center è quello di disporre di una sorta di cappello magico dal quale, alla domanda “te la senti di proseguire?”, provenga una risposta certa e veritiera sulla effettiva, cosciente disponibilità di un astronauta a svolgere o continuare una determinata missione.
Nonostante la molteplicità di Brain-Computer Interface fino ad oggi sviluppate, una simile possibilità in circostanze come quelle di un volo spaziale non è mai esistita. Ma ora, con il nuovo Brain Breathalyser , in sviluppo presso il Massachussetts General Hospital di Boston, questo sogno forse potrà avverarsi .
A differenza del grande ingombro delle macchine per risonanza magnetica – le uniche, ad oggi, in grado di indagare nel cervello un po’ più a fondo – il Brain Breathalyser sembra un grosso telecomando, assicurato alla cinta con uno spezzone di velcro e collegato ai sensori sulla testa con qualche filo sottile.
La tecnologia su cui è basato si chiama spettroscopia ottica quasi-infrarossa e offre risultati simili alla risonanza magnetica, rilevando i cambiamenti nei flussi di sangue in relazione all’attività cerebrale. Invece di usare un magnete, lo scanner invia deboli impulsi di luce quasi infrarossa verso il cervello, quindi legge le onde riflesse. Ciò consente di misurare la quantità di ossigeno nel sangue, gli incrementi di attività e altre simili manifestazioni, spiega Gary Strangman , psichiatra che conduce lo sviluppo dello scanner.
Essendo, in orbita, abbastanza frequente il presentarsi di stati depressivi o altre alterazioni della sfera psico-fisica, l’impiego di una macchina così compatta sarebbe di grande aiuto, offrendo un contributo di notevole rilievo alla sicurezza personale e della missione stessa. Naturalmente, il dispositivo dovrà provare compiutamente di essere efficace e sicuro, prima che la NASA possa minimamente prendere in considerazione di spedirlo in orbita, spiega al New Scientist Jonathan Clark, del National Space Biomedical Research Institute ( NSBRI ).
I 400mila dollari che il laboratorio diretto da Clark riceverà come finanziamento dovranno convergere – tuona la NASA – in un apparecchio che dia piena e totale dimostrazione di efficacia e sicurezza, in caso contrario il dispositivo non avrà mai la “luce verde” per entrare in orbita.
Brain Breathalyser è la promessa di una sorta di coltellino svizzero, uno strumento che – se si rivelerà efficace come promette – non solo offrirà ai mission control un’opportunità inedita, ma aprirà anche la strada ad un percorso evolutivo di riesame delle tecniche di scansione medica, fino ad oggi effettuate con gli ingombranti scanner a risonanza magnetica e loro predecessori.
Marco Valerio Principato
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