In seguito al sequestro del suo laptop di ritorno da una vacanza in Messico, il ventiquattrenne David House ha denunciato il governo degli Stati Uniti per la violazione dei suoi diritti costituzionali. Gli ufficiali dell’aeroporto di Chicago mi hanno preso di mira senza alcun motivo concreto, accusa House.
Il giovane attivista, supporter e amico di Bradley Manning – il nemico giurato di Washington dopo le “spifferate” a Wikileaks sulle guerre in Afghanistan e Iraq – è caduto vittima della tecnofobia delle frontiere USA cedendo con la forza il portatile, un’unità di storage USB, una videocamera e un telefono cellulare.
Dopo aver infine subito un interrogatorio durato più di un’ora sui suoi rapporti con Manning e Wikileaks, il giovane programmatore laureato a Cambridge è stato rilasciato ma ha dovuto attendere più di un mese prima di vedersi restituito il maltolto – fatto avvenuto solo grazie all’intervento della American Civil Liberties Union (ACLU).
Ed è proprio grazie al supporto legale di ACLU che ora House ha denunciato il governo federale per violazione dei suoi diritti costituzionali: gli agenti della TSA appollaiati negli aeroporti non avevano il diritto di sequestrare i suoi effetti digitali – recita l’accusa – senza aver prima ottenuto un mandato dal giudice.
Ancora una volta viene chiamata in causa la costituzionalità dei tecnocontrolli e dei sequestri alle frontiere degli USA, e la decisione del giudice è tutto fuorché scontata: un caso simile si è recentemente concluso con l’affermazione del diritto, per le autorità, di perquisire e sequestrate a proprio totale piacimento se il motivo è la caccia a contenuti digitali di natura illecita.
Alfonso Maruccia