Una questione è stata posta di recente al Tribunale di Lecce: un Società è stata citata in giudizio a mezzo Posta Elettronica Certificata e non si presenta. È contumace?
Difficile a dirsi: bisogna analizzare per bene la questione, capire se l’azienda era stata correttamente informata e l’assenza era quindi un atto deliberato e consapevole, oppure conseguenza della mancata informazione. E qui un attento Giudice analizza con cura le norme e le interpreta alla luce delle migliori intenzioni del Legislatore: sì, esiste da anni una norma che obbliga tutte le imprese, i professionisti iscritti ad un albo e tutti gli Enti Pubblici a dotarsi di PEC. Certo, una firma elettronica sostituisce firme olografe, timbri e punzoni, come stabilito dal Codice dell’Amministrazione Digitale. Naturale, al giorno d’oggi, che anche gli atti processuali vengano trasmessi in forma telematica. Però c’è un vuoto legislativo, una dimenticanza che vanifica tutto lo sforzo: nessuna norma impone di possedere i programmi atti leggere un documento in firma digitale.
Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit , ovvero: dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto. Per affrontare una materia, soprattutto quando è estremamente complessa come il diritto, e quando il diritto si sovrappone alle tecnologie, occorre sempre tenere presente i principi fondamentali, le basi su cui si fondano i complessi dispositivi superiori. È difatti impossibile per una legge regolare nel dettaglio ogni singolo caso, ogni situazione particolare, ogni eccezione alla regola generale, in particolare quando le tecnologia evolve e la normativa non può tenere il passo con ogni singola innovazione. Per questo esistono esperti che studiano le norme e formano la dottrina che va ad interpretarle, cercando di leggere tra le righe, di comprendere le tendenze al fine di rendere chiari quei punti che la norma non ha coperto completamente. Però ci sono dei limiti, non si può andare oltre il senso che il Legislatore ha voluto esprimere con le sue parole, come ci ricorda l’art. 12 delle preleggi al codice civile: ” Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore “.
Già, l’intenzione del Legislatore! Fin quando si tratta di leggere la norma alla lettera può essere relativamente semplice, per quanto i problemi a volte non manchino ugualmente, ma comprendere l’intenzione del Legislatore non è banale, neppure se ci si prende la briga di leggere i lavori preparatori, le relazioni delle Commissioni, l’evolversi del testo nei vari passaggi (ebbene sì, se proprio una norma è importante per la propria professione c’è chi lo fa, a me è già toccato un paio di volte).
Eppure ancora non basta: gli esperti a volte giungono a conclusioni opposte, e potrei raccontarvi di tante riunioni dove compassati studiosi sono quasi venuti alle mani per l’interpretazione di un comma. A quel punto non si può che arrivare davanti al giudice, deputato ad analizzare la questione e dirimere le controversie, forte di un’approfondita conoscenza delle norme, dei principi ad esse sottesi e di una conoscenza qualificata delle linee evolutive del diritto.
Ma torniamo al caso analizzato dal Tribunale di Lecce.
Il Got,Ora, il più diffuso programma di questo tipo, Dike, lo si scarica gratuitamente, ma è ancora più facile cercare online “verifica firma digitale” ed un sito web consente di aprire il file per mezzo di un comune browser, visualizzando così in chiaro il file non firmato e le informazioni sulla firma. E se proprio queste due operazioni riescono difficili, e se la firma è de facto una busta digitale, basta eliminare l’estensione p7m col comune programma di gestione delle risorse e ci si trova il pdf leggibile, senza nessuna operazione ulteriore.
rilevato che la normativa che impone alle imprese di dotarsi di casella di posta elettronica non obbliga, però, le stesse imprese di munirsi di programmi elettronici che consentono la lettura degli atti inviati con firma digitale
Eppure, secondo il giudice, l’onere della prova spetta alla parte attrice, ovvero a chi ha iniziato la causa, che quindi deve dimostrare (?) che la Società citata è in possesso di detti programmi:
– (rilevato) che non vi è prova che la società convenuta sia in effettivo possesso di tali programmi;Dunque il Giudice ordina di rifare la notifica, per mezzo del buon vecchio ufficiale giudiziario che suona alla porta con un collaudato foglio di carta, da siglare con una attualissima biro (le piume d’oca sono già state eliminate dagli uffici giudiziari, che danno quindi importanti segni di apertura alla modernità).
– che, quindi, non vi è prova che la stessa abbia potuto prendere visione dell’atto di citazione;
– che tale prova non si evince, comunque, dalle comunicazioni allegate in atti relative alla accettazione ed alla consegna dell’atto di citazione
Evidentemente gli sforzi del Legislatore per diffondere, anche in modo impositivo, le tecnologie digitali, sono state vanificate da quella svista omissiva: in sostanza c’è un obbligo ad avere una PEC, non a leggerla! E, come dicevamo all’inizio, se la legge ha taciuto è perché non voleva dirlo. Anzi, già il Giudice ha dato per scontato, parlando dei soli programmi specifici per la lettura, che l’azienda fosse dotata del computer, ma, a ben vedere, neppure questo è espressamente previsto dalla norma.
Riassumendo: il Legislatore si impegna da anni a diffondere il digitale, il Giudice è chiamato ad interpretare le norme anche alla luce dell’intenzione del legislatore, il Got stabilisce che la citazione a mezzo mail sia valida solo se il ricevente conferma di averla letta, altrimenti cade tutto.
Resta da capire cos’è questo “Got”: secondo Wikipedia si tratta del “Giudice Onorario di Tribunale”. Poi aggiunge che “L’aggettivo onorario sta ad indicare che svolge le proprie funzioni in maniera non professionale”. Il che, in effetti, spiega bene la decisione.
Comunque si tratta di un’ordinanza innovativa ed importante, destinata a fare scuola ed applicabile in via estensiva ad altre situazioni. Io, ad esempio, ho già pensato che potrò ignorare qualunque comunicazione dell’Agenzia delle Entrate. Difatti sono molto miope, ma nessuna legge mi obbliga ad acquistare o usare gli occhiali, per cui potrò legittimamente dire che non ho potuto conoscere il contenuto. Pensate possa funzionare?
Diego Giorio