Dopo una chiusura d’anno piuttosto neutra, almeno per chi lo ha colto, dove si sono elencati i traguardi raggiunti nel 2016 e fissati i possibili obiettivi per il 2017, torniamo a commentare con un po’ di ironia ed impertinenza i fatti della PA. Lo spunto questa volta me lo dà l’ANAC, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, che ha prodotto un interessante comunicato , regolarmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Lasciamo da parte il contenuto generale, che è semplicemente rivolto a proporre un modello per effettuare segnalazioni, e concentriamoci invece su un passo molto interessante ai fini dell’innovazione tecnologica, che dimostra come nella PA ci sia un’avanguardia informatica che porta avanti tecnologie estreme:
” Ovviamente, i modelli compilati in “word”, prima di essere trasmessi via pec alla Autorità, dovranno essere stampati, sottoscritti dal responsabile (in genere il rup) e trasformati in formato preferibilmente “pdf”.”Anzitutto salta all’occhio che sulla Gazzetta Ufficiale si parli di Word e poi l’allegato sia in pdf… Vabbé, magari sul sito dell’ANAC si troverà anche un formato editabile.
Però a chiunque abbia un minimo di conoscenza giuridico/informatica sorgono spontanee parecchie altre considerazioni.
Anzitutto pare che all’Autorità sia sfuggito l’ art. 68 del CAD, D.Lgs 82/05, il quale prevede che l’acquisto di software proprietario sia una soluzione residuale, alla quale ricorrere soltanto dopo aver scartato i programmi sviluppati per la PA e l’adozione di software libero. Vero è che il pacchetto Office è il più diffuso ed è difficile abbandonarlo, come avevo già argomentato in precedenza , tuttavia che sia proprio dall’Autorità Anticorruzione a mettere nero su bianco che le suite FOSS non sono nemmeno considerate lascia piuttosto sconcertati.
In secondo luogo sorprende l’ obbligo di stampare su carta (che, peraltro, deve essere acquistata, con tutto ciò che ne segue), ignorando l’ art. 40 del CAD, che obbliga la PA a generare gli originali in formato digitale: un documento “originale digitale”, in senso giuridico, non è un foglio scritto su computer e poi stampato e firmato in modo olografo, bensì un documento informatico con valenza legale, diversamente è e resta una bozza, al pari di una minuta cartacea, non sottoscritta in alcun modo e conseguentemente di nessun valore ufficiale (per curiosità, c’è un caso in cui anche questa può avere valore giuridico, ovvero il brogliaccio – ossia gli appunti di una seduta di Giunta o Consiglio – di un Segretario Comunale, qualora questi passi a miglior vita prima di riuscire a produrre le delibere relative. La burocrazia pensa proprio a tutto).
Sorprende altresì il fatto che l’Autorità si aspetti che una firma olografa su un documento digitalizzato possa avere un qualche valore giuridico: anche senza avere una cultura informatica tale da sapere che con uno scanner ed un programmino di grafica una firma olografa si può aggiungere in pochi minuti a qualunque documento – anche ad un pdf – proprio non immaginano che con un classico paio di forbici, un po’ di scotch o di colla ed una fotocopiatrice si possa raggiungere lo stesso risultato? Di firme digitali non hanno mai sentito parlare?
Ma quello che mi lascia maggiormente stupito è quell’avverbio all’inizio della frase, un “ovviamente” che fa capire come all’autore non sia neanche passato per la mente di stare scrivendo una procedura fuori dal tempo, che avrebbe fatto ridere della sua Agenzia. È stato dato talmente per scontato che i documenti si debbano per forza stampare e firmare, per poi trasformarli di nuovo in digitale, da non rendersi neanche conto dell’enormità di quanto disposto con questa frase. È ovvio come può essere ovvio che la Terra è piatta, come può essere ovvio che il Sole le gira intorno!
In questo senso, mi ritornano in mente le sagge parole pronunciate in alcune passate occasioni dall’on Quintarelli – uno dei pochi in Parlamento che capisce per davvero l’informatica e le nuove tecnologie – a sostegno dell’importanza del lavoro della coalizione per la diffusione delle competenze digitali, ovvero che per troppe aree della PA l’informatica è quella seccatura complicata che si interpone fra due documenti cartacei.
Eppure l’ANAC è nata con la Legge n.190/2012 , è un’Istituzione recente, non un Ente di diritto romano che si porta dietro – modernamente scansionati in pdf – i moduli con i quali Giulio Cesare autorizzava lo svolgimento dei giochi al Colosseo.
Eppure non c’è nulla da fare, già è difficile per tutti cambiare mentalità. Io stesso dal primo gennaio sono passato ad una gestione documentale che consente una gestione totalmente dematerializzata dell’iter, ed ho impiegato un paio di settimane ad adeguarmi, peraltro continuando a scoprire ancora oggi nuove funzionalità; se non si pensa alla formazione dei dipendenti, se non si investe in cultura, informatica e non, ma si continua sempre a tagliare il budget delle Pubbliche Amministrazioni dedicato all’ammodernamento, anche mentale, non si potrà che continuare ad ottenere questi risultati, sui quali i molti commenti possibili sono così stati mirabilmente sintetizzati in privato da un iscritto alla mailing list del Nexa Center for Internet & Society del Politecnico di Torino: “Hahahahahaha:)”.
Ora scusatemi, avrei ancora diverse osservazioni in testa, ma non posso trattenermi oltre: devo correre in cartoleria a comprare pennini e calamaio.
Diego Giorio