Da Roma caput mundi a Roma caput FOSS . Dopo la breccia di Porta Pia e la liberazione da parte degli americani nel giugno del 1946, Roma fa breccia nel monopolio dei sistemi proprietari e viene di nuovo liberata , questa volta dall’oppressione dei contratti di acquisto e/o manutenzione dei software.
In effetti l’uso di software a pagamento quando c’è a disposizione un software equivalente gratuito mi fa tornare in mente un episodio: mi trovavo a Los Angeles, in 6th Street: da un lato della strada c’erano i parchimetri, dall’altro lato parcheggio libero, con spazi vuoti su entrambi i lati: voi dove avreste parcheggiato? L’idea dell’urbanista era che per andare in direzione dei musei si parcheggiasse, a pagamento, su quel lato, mentre per andare nel quartiere residenziale dall’altra parte della strada si parcheggiasse gratuitamente sul lato opposto. Forse per gli americani può funzionare, per altre parti del mondo non mi pronuncio.
Eppure, lasciando da parte deprecabili episodi di pirateria che fanno diventare gratuito il software proprietario, in molti casi si acquistano licenze di sistemi operativi e di programmi applicativi in modo quasi automatico, dando per scontato che un PC abbia installati almeno Windows ed il pacchetto Office, andando a pagare per questi ed altri software per i quali esistono equivalenti gratuiti. Perfettamente equivalenti? A volte sì, a volte no, ma molto spesso le funzioni aggiuntive che mancano nei software meno blasonati sono perfettamente inutili per l’impiego che se ne deve fare, o comunque non valgono la spesa. Certamente si tratta anche di un circolo difficile da spezzare: il sistema più diffuso è anche il più conosciuto, tanto dagli utenti più o meno esperti quanto dagli installatori, per cui diventa più facile trovare l’amico che risolve un problema, il tecnico che sistema una stampante, il blog dove è postato un consiglio utile. Se tutti scrivono con Word, non averlo installato può creare qualche problema di compatibilità nel leggere un testo complesso: io, ad esempio, saltello da un sistema all’altro a seconda della disponibilità del PC e del lavoro che devo svolgere ed ogni tanto mi trovo a lottare contro le animazioni di una presentazione che non funzionano come previsto, oppure contro la divisione del testo in colonne, che ha qualche incompatibilità tra Word e Writer.
Questioni minori e tutto sommato risolvibili, per quanto sia sempre imbarazzante trovarsi con le slide non bene impostate nel momento in cui le si presenta davanti a centinaia di persone. Diventa però impossibile non considerarle nel momento in cui si affrontano atti ufficiali ed occorre interfacciarsi con svariati altri programmi, specifici per l’attività lavorativa. Pensiamo ad esempio ai programmi dei servizi demografici: sono molto più complessi di quanto si possa immaginare, e si devono interfacciare con tutti gli altri applicativi specifici del Comune, dalla gestione dei tributi agli accessi in biblioteca, dalla mensa scolastica ai permessi per i disabili, oltre che comunicare attraverso applicativi Web con altri Enti, come la Motorizzazione, l’Agenzia delle Entrate, l’Inps, l’ISTAT e così via.
L’autocomposizione di un atto di stato civile comporta la compilazione di una maschera con i dati essenziali, il richiamo di formule specificamente predisposte dal Ministero e l’aggancio ai dati anagrafici. Tutto questo richiede una programmazione che coinvolge database, macro e codici ad hoc. Chiaramente chi sviluppa il sistema imposta il lavoro sui programmi più diffusi, senza contare che il software libero non è detto abbia esattamente tutte le funzioni evolute che servono in questi casi. La mia software house, ad esempio, aveva sviluppato il programma demografico in modo compatibile sia con Word che con Open Office, però con quest’ultimo aveva qualche limitazione perché, a loro dire, mancavano alcune funzioni. Da quando poi OpenOffice gode di cattiva salute , mentre cresce Libre Office, il progetto è stato abbandonato; col passaggio a Windows Seven avevo tentato di usare una suite FOSS, poi, dopo qualche mese, ho dovuto arrendermi all’evidenza e pagare il dazio, dato che il tempo perso a completare a mano le parti non automatizzate ed a reimpaginare i certificati non giustificava il risparmio sull’acquisto, oltre ad esporre al rischio di errori. Peraltro LibreOffice ed altri programmi gratuiti funzionano egregiamente sul computer degli amministratori, usato essenzialmente per leggere ed inviare la posta, scrivere qualche lettera o visualizzare qualche pdf.
D’altra parte l’assessora a Roma Semplice Flavia Marzano ha pubblicamente dichiarato che l’obiettivo primario non è il risparmio, bensì “generare valore economico e sociale”, e plaudo quindi alla scelta coraggiosa di Roma, che però può certamente contare su uno staff informatico adeguato alla sfida che lo attende, mentre un piccolo Comune non può che affidarsi ai fornitori specializzati, che tipicamente operano sulla combinazione Windows/Word. Trovo altresì assolutamente ragionevole l’approccio prudente riportato dal punto 3 della delibera , ovvero “promuovere l’introduzione, anche in via sperimentale, di software liberi e/o aperti, con caratteristiche compatibili con le esigenze dell’Amministrazione Capitolina, interessando inizialmente le postazioni informatiche e i server capitolini privi di particolari vincoli di interazione con altre procedure e/o applicativi, nel rispetto dei livelli di sicurezza e integrità dei dati”.
Non è infatti detto che sia così facile spezzare i vecchi legami, non è detto che un software libero sia sempre la scelta migliore e non è detto che ciò che funziona per una metropoli sia direttamente applicabile ai piccoli centri, ma l’iniziativa sicuramente non può che partire da grandi Enti, sperando che possa diventare una valanga che coinvolgerà tutte le realtà.
Mi lascia invece perplesso il punto 2 : “coinvolgere, a titolo gratuito e senza alcun onere a carico dell’Amministrazione Capitolina, le realtà esperte di software libero per agevolare la migrazione verso tale tipologia di software e svolgere iniziative mirate alla formazione del personale dipendente”. La storia ci insegna che non si possono progettare rivoluzioni senza armi, ed una rivoluzione come l’abbandono dei programmi e dei sistemi ai quali sono tutti abituati da decenni, pur con le inevitabili evoluzioni, è una rivoluzione prima del pensiero e poi della pratica. Dubito quindi che si possa effettuare a costo zero, senza le armi della conoscenza, confidando esclusivamente nelle doti di auto-apprendimento dei dipendenti pubblici o nel volontariato dei pochi esperti di software libero.
Riassumendo, credo che il cambio di mentalità sia sicuramente auspicabile e debba cominciare, per gli Enti più piccoli, valutando caso per caso l’effettiva necessità di acquistare un software (come peraltro prevede l’ art. 68 del CAD ), mentre per gli Enti più grandi l’uso ed il riuso di software libero sarà più facilmente supportato dai tecnici informatici dedicati e potrà poi estendersi gradatamente alle realtà minori. Nel frattempo si potranno fare campagne di informazione e formazione, magari coinvolgendo dei veri esperti, anche se di solito hanno la deplorevole abitudine di voler essere pagati; contemporaneamente si potranno incentivare i produttori degli applicativi specialistici a sviluppare il loro prodotti anche in vista delle suite FOSS. Sarebbe un approccio lungimirante: un sistema complesso come l’intero apparato burocratico dello Stato può forse correre qualche rischio nell’affidarsi ad applicativi il cui sviluppo non è garantito, ma le ultime problematiche emerse nel progetto F35, che non decolla non solo per problemi tecnici, ma anche perché il software che lo fa volare è troppo proprietario, insegnano che i pacchetti chiusi sono ancora più pericolosi.
Ai posteri valutare se la breccia nel software proprietario aperta da Roma verrà tappata, oppure se porterà anch’essa alla fine del potere temporale, stavolta non dello Stato Pontificio bensì delle Major del software.
PS: come ho scritto queste righe? Ruotando su tre PC: uno con W10 ed Office, uno con W10 ed Open Office ed uno con Ubuntu e Libre Office!
Diego Giorio