E se davvero esistessero forme di vita intelligenti in qualche angolo sperduto dell’universo? Se astronomi extraterrestri stessero come noi cercando di mettersi in contatto con quelli che anche loro definiscono alieni? Così fosse, potrebbero contare su un nuovo sistema ideato dal MIT per segnalare la nostra presenza ben oltre i confini del sistema solare: un laser.
Il laser del MIT per chiamare ET
Un fascio di luce in grado di viaggiare fino a 20.000 anni luce di distanza e di resistere alle interferenze generate dalla nostra stella, il Sole. Se dunque su un esopianeta come Trappist-1 o nei pressi di Proxima Centauri ci fossero ricercatori impegnati a scandagliare le profondità del cosmo, potrebbero in futuro fare affidameno su un faro guida che li porterà a noi. Il funzionamento del macchinario richiederebbe (usare il condizionale è d’obbligo, al momento è tutto fermo al livello teorico) il passaggio di un laser da 1 o 2 MW all’interno di un telescopio da 30-45 metri. Così facendo si potrebbe anche tentare di comunicare inviando messaggi in codice Morse.
Per la realizzazione dell’apparato i ricercatori potrebbero ricorrere al laser YAL-1 in passato impiegato dalla US Air Force per l’intercettazione e la distruzione dei missili nemici, magari in accoppiata con l’Extremely Large Telescope in fase di costruzione in Cile che ha un diametro dello specchio principale pari a 39 metri. Ovviamente le sfide tecniche e ingegneristiche da affrontare non mancano: in primis quelle legate alla pericolosità di un fascio di luce tanto potente, in grado non solo di provocare danni ai tessuti umani, ma anche alle apparecchiature presenti a bordo di satelliti, velivoli e stazioni spaziali. Una strada percorribile, secondo gli autori del progetto, è quelle che ipotizza l’installazione del laser sulla superficie della Luna nascosta alla Terra. La tecnologia è stata descritta nello studio di fattibilità pubblicato su The Astrophysical Journal.
Fantascienza?
Realtà percorribile o volo di fantasia? Allo stato attuale, più la seconda. Per arrivare a stabilire un contatto con forme di vita aliene, il sistema richiederebbe dall’altro capo della comunicazione una tecnologia in grado di individuare il fascio di luce e identificarne l’esatta provenienza. L’iniziativa del MIT va dunque interpretata come l’intenzione di continuare a guardare allo spazio e ai suoi misteri come a un’enorme incognita da sciogliere, uno stimolo attraverso il quale sviluppare tecnologie che torneranno utili anzitutto sul nostro pianeta.
Dopotutto, se oggi parliamo della possibilità concreta di arrivare su Marte (dove grazie a un progetto italiano abbiamo appena rinvenuto acqua allo stato liquido) per trovare una nuova casa al genere umano, ipotesi fino a pochi decenni fa formulata solo dalla letteratura e dalla cinematografia sci-fi, potremmo arrivare un giorno non troppo lontano a disporre degli strumenti necessari per ampliare i nostri orizzonti addirittura oltre, mettendo in discussione le nostre attuali convinzioni, il nostro sapere e noi stessi. Perché questo è dopotutto il vero obiettivo: andare oltre il limite del conosciuto, per ridefinire tutto quanto finora appreso, capito e metabolizzato.