La gestione del caso Cambridge Analytica e le misure attuate per contrastare le interferenze russe nelle presidenziali USA 2016 fra i punti toccati da un articolo del New York Times che mette nuovamente Facebook al centro di una spinosa discussione. Proprio nel giorno in cui il gruppo pubblica il suo nuovo Rapporto sulla Trasparenza per sottolineare l’impegno profuso al fine di mantenere la piattaforma un luogo sicuro per tutti.
Russiagate: il silenzio di Facebook
Vengono citate informazioni ottenute da oltre 50 fonti che includono dipendenti ed ex collaboratori del social network. Tra questi anche un “esperto sulla cyberguerra russa” in contatto diretto con Alex Stamos, Chief Security Officer di FB. Stando alla sua testimonianza i massimi dirigenti della società, compresi Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg, erano a conoscenza delle attività riconducibili al Cremlino fin dalla primavera 2016, dunque prima che la popolazione degli Stati Uniti venisse chiamata alle urne per scegliere il nuovo Presidente. Tutto sarebbe stato tenuto nascosto fino all’autunno dell’anno successivo, quando esplose il caso. Allora il numero uno del gruppo definì una “folle idea” l’ipotesi che le fake news condivise sul social potessero influenzare l’esito delle elezioni.
Il NYT parla inoltre del compito affidato ai consulenti di Definers Public Affairs, incaricati di puntare il dito nei confronti di chi criticava Facebook attraverso campagne organizzate ad hoc, anche associando l’attività di questi ultimi a Soros e al suo impegno a sostegno del movimento democratico. Ancora, DPA avrebbe contribuito alla diffusione di contenuti dal taglio negativo su Google e Apple, attraverso le pagine del sito NTK Network vicino alla corrente repubblicana. Immediata la replica della COO, affidata a un post di cui riportiamo un passaggio in forma tradotta.
… io e Mark abbiamo ammesso più volte di essere stati troppo lenti. Suggerire che non eravamo interessati a conoscere la verità, che abbiamo voluto nascondere ciò che sapevamo o tentato di ostacolare le indagini è semplicemente falso.
I want to address some of the claims that have been made in the last 24 hours. On a number of issues – including…
Pubblicato da Sheryl Sandberg su Giovedì 15 novembre 2018
Android sì, iPhone no
Si parla anche di un ordine proveniente in modo diretto da Zuckerberg per obbligare i membri del team dirigenziale a utilizzare smartphone Android al posto degli iPhone. Una decisione presa in seguito alla stoccata di Tim Cook che interpellato su come si sarebbe comportato al posto del CEO Facebook nello scandalo Cambridge Analytica ha risposto “Non mi sarei trovato in quella situazione”.
La replica Facebook
La replica non si è fatta attendere, con un intervento che ribatte in modo schematico a quanto sostenuto dal New York Times. L’articolo viene definito ricco di inesattezze. Riportiamo di seguito e in modo sintetico i punti più importanti fra quelli toccati.
- Russiagate: come dichiarato di fronte al Congresso da Zuckerberg, l’azienda non era a conoscenza delle attività dalla primavera 2016 e nessuno ha mai impedito o rallentato lo svolgimento delle indagini;
- Muslim Ban: le dichiarazioni di Trump a proposito della proposta finalizzata a vietare l’ingresso negli USA ai cittadini di sette paesi arabi non sono state eliminate dalla piattaforma in quanto contribuivano al dibattito pubblico;
- Fake news: l’azienda ribadisce il coinvolgimento diretto di CEO e COO nella lotta alla disinformazione;
- Android: Facebook non nasconde la distanza tra la visione di Tim Cook e quella di Mark Zuckerberg, affermando di incoraggiare i propri collaboratori a utilizzare Android in quanto sistema operativo più diffuso al mondo.
In merito invece a Definers Public Affairs, il contratto che legava le due aziende è stato rescisso nelle ore scorse. Il social network sostiene di non aver mai ordinato la stesura o la pubblicazione di articoli diffamatori nei confronti di chi ne critica l’operato, ma di aver chiesto alla stampa di approfondire l’attività dell’organizzazione Freedom From Facebook sostenuta economicamente da aziende da sempre si oppongono a FB.
Da una parte New York Times riporta le informazioni fornite da decine di fonti, dall’altra il gruppo respinge le accuse al mittente. Da una parte si sostiene che “l’azienda sapeva”, dall’altra viene negato. Una dinamica che richiama alla memoria (per rimanere in ambito hi-tech) quella innescata di recente dalla pubblicazione di The Big Hack, quando si è parlato di un attacco dalla Cina che ha colpito tra gli altri colossi come Apple e Amazon, con questi ultimi che in tutta fretta hanno smentito qualsiasi coinvolgimento.
Ciò che emerge in modo chiaro, netto e inequivocabile è l’enorme importanza che oggi si attribuisce a Facebook, uno strumento arrivato a poter spostare equilibri e influenzare opinioni su scala globale. Forse la creatura di Zuckerberg è cresciuta in modo tanto rapido e dirompente da essere sfuggita di mano al suo stesso padre, sottraendosi al controllo e assumendo così i connotati di un’arma a doppio taglio. E tutti i report, tutti gli scandali e le critiche, ne sono la diretta conseguenza.