Lavabit, si fa appello alla confusione

Lavabit, si fa appello alla confusione

Questioni etiche e universali stridono con le tecnicaglie procedurali. Il fondatore del servizio di email cifrate a cui è stato richiesto di consegnare i dati relativi a un cittadino che si crede essere Snowden, si difende in tribunale
Questioni etiche e universali stridono con le tecnicaglie procedurali. Il fondatore del servizio di email cifrate a cui è stato richiesto di consegnare i dati relativi a un cittadino che si crede essere Snowden, si difende in tribunale

Ladar Levison, fondatore di Lavabit, servizio di email cifrate costretto alla chiusura dopo lo scandalo del Datagate, ha presentato la propria testimonianza nel ricorso in appello. Vuole dimostrare che, a seguito delle richieste formulate dalle autorità statunitensi per ottenere l’accesso a delle informazioni relative alle comunicazioni di un utente in cui molti riconoscono Edward Snowden, ha adempiuto agli ordini nella maniera più coerente possibile. Si sarebbe dovuto trattare di un confronto incentrato su una questione tecnica, ma solo l’intervento dei giudici ha permesso che non si sconfinasse in un dibattito a tutto tondo sulla legittimità delle azioni dell’intelligence statunitense e su leggi non possono coesistere con la tutela della privacy.

Levison, questo il motivo per si batte in tribunale, è stato accusato di inadempienza nella consegna delle informazioni in chiaro relative al singolo utente nel mirino delle autorità: ha negato in un primo momento i metadati relativi alle comunicazioni dell’utente, non ha concesso all’FBI la possibilità di monitorare in tempo reale le sue comunicazioni e ha infine, non senza riluttanza , ceduto alla consegna delle chiavi SSL, che consentirebbero però al governo di accedere a tutte le comunicazioni mediate da Lavabit, non solo quelle dell’individuo sospettato. Il servizio di email cifrate, poi, è stato chiuso , incapace di garantire la sicurezza di cui faceva vessillo.

Il dibattito in tribunale, secondo quanto riportato , si è dipanato in maniera tanto intensa quanto confusa. Levison, deciso a difendersi facendo appello a questioni di ordine etico, ha denunciato gli abusi che l’FBI potrebbe commettere con le chiavi SSL, si è concentrato più sullo smontare le fondamenta secondo cui l’ordine di intercettazione è stato emanato piuttosto che sull’offrire le motivazioni per le quali non ha consegnato i dati richiesti dal governo.

Proprio per questo motivo gli osservatori ritengono che sarà difficile vederlo uscire vincente dal processo. I giudici incaricati del caso hanno definito le argomentazioni di Levison a proposito della cifratura come un tentativo di distogliere l’attenzione dal reale nocciolo della questione legale affontata in quella sede. Non senza però condannare il comportamento dell’FBI: si sarebbe giunti alla richiesta di consegnare le chiavi SSL, considerata da molti sproporzionata, solo perché i rapporti tra Lavabit e il Bureau si sarebbero inaspriti per l’intransigenza di entrambe le parti e perché l’FBI non avrebbe offerto supporto a Lavabit nel tentativo di scavalcare gli ostacoli tecnici che si frapponevano ad un’opera di intercettazione più circostanziata.

Non è ancora stata prevista una data entro cui il tribunale esprimerà il proprio parere.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
30 gen 2014
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