Se i due anni di pandemia hanno forzatamente abituato tutti noi a prendere confidenza con il concetto di smart working, la collaborazione da remoto nel metaverso costituirà il prossimo step. Un nuovo modo di lavorare, facendo leva sulle innegabili potenzialità dei mondi virtuali, ma che potrebbe portare con sé e nascondere alcune insidie, soprattutto sul fronte della privacy. I timori non mancano, come svela una nuova ricerca di cui riportiamo qui le conclusioni più significative.
Siete contenti di poter lavorare nel metaverso?
Tra gli intervistati, il 69% dei datori di lavoro afferma di aver già sviluppato familiarità con il metaverso, mentre la percentuale si abbassa al 42% tra i dipendenti. Nella prima categoria, il 77% dichiara di essere interessato a sfruttare la tecnologia in ambito professionale. La quota scende invece al 57% tra i collaboratori. Di questi, il 63% confida di essere preoccupato per le modalità di raccolta e trattamento dei dati che lo riguardano in questo contesto inedito.
A manifestare apprensione sono soprattutto coloro impiegati in società di grandi dimensioni, da oltre 500 persone, e appartenenti alle generazioni Millenial, Gen X e Boomer. Il riferimento è in primis alla privacy e al possibile controllo in tempo reale relativo alla posizione geografica in cui ci si trova (51%) e all’attività svolta (50%).
Prendendo in considerazione i big dell’industria, è Microsoft (61%) quello che ispira più fiducia, mentre Meta (36%) deve quasi inevitabilmente fare i conti con una reputazione da ripristinare su questo fronte.
Su cosa potrebbe avere un impatto positivo il fatto di lavorare nel metaverso? Sulla creatività (73%), anzitutto. Poi, sulla soddisfazione associata al ruolo ricoperto (63%) e sulla produttività (63%).
La ricerca è stata condotta da ExpressVPN (l’abbonamento annuale è in sconto del 35%), interpellando 1.500 datori di lavoro e altrettanti dipendenti negli Stati Uniti. Tutti i dettagli e un approfondimento sui risultati sono consultabili nel report completo.