Associated Press lancia l’allarme: l’ abitudine degli addetti alle risorse umane di chiedere la password dei social network ai potenziali candidati per controllarne il profilo sembra più comune del previsto ed è particolarmente diffusa nelle agenzie pubbliche come il 911 o la polizia.
La famosa agenzia stampa statunitense ha condotto un’indagine dalla quale è emerso che i dirigenti chiedono l’amicizia ai propri dipendenti , oppure costringono i neoassunti a firmare un accordo che vieta di parlar male del datore di lavoro nei social media o ancora, caso più estremo, si fanno rivelare direttamente login e password.
In particolare Associated Press riporta il caso di Justin Bassett, un analista di New York che durante un colloquio di lavoro si è visto chiedere nome utente e password del proprio account Facebook. Basset si è rifiutato di fornire i propri dati e ha ritirato la candidatura , dicendo che non voleva lavorare per una società che pretendeva certe informazioni personali: ma molte altre persone possono trovarsi nella condizione di non poter rifiutare. Anche nella contea di Spotsylvania, Virginia, il Dipartimento dello sceriffo chiede solitamente ai candidati per un posto al 911 o in polizia informazioni di questo tipo: “In passato chiedevamo notizie ad amici e vicini di casa, ma poi abbiamo scoperto che le persone interagiscono di più sui social media che con gli amici veri – ha detto il capitano Mike Harvey – Gli amici virtuali conoscono più cose di chi vive a trenta metri di distanza”.
“È come chiedere le chiavi di casa a qualcuno – ribatte invece Orin Kerr, docente di legge alla George Washington University ed ex procuratore federale – È un’enorme violazione della privacy”. Anche Lori Andrews, professoressa presso l’ IIT del Chicago-Kent College of Law e specializzata sul tema della privacy su Internet, si è detta preoccupata, sopratutto perché coloro che forniscono la password “volontariamente” non lo fanno perché davvero si sentono liberi di farlo, ma perché costretti. ACLU non va per il sottile: “Le persone hanno diritto alla propria vita privata. Saremmo inorriditi se il nostro datore di lavoro insistesse per vedere la nostra posta per scoprire se c’è qualcosa di interessante”.
Eppure, tra tutte queste voci di protesta c’è qualcuno che difende questa abitudine dei dirigenti: Chandlee Bryan, co-autrice del libro The Twitter Job Search Guide , ha dichiarato che chi cerca lavoro deve essere sempre ben attento a quello che pubblica sulla propria bacheca e suggerisce a chi ha problemi con il proprio datore di lavoro di parlarne direttamente con l’interessato e di non infangarlo sui social media. Però ammette: qualche perplessità sorge se si chiede la password, anche se non si tratta di violazione della privacy.
In base a una ricerca effettuata su più di 300 esperti in risorse umane, il 90 per cento ha ammesso di aver visitato il profilo di un potenziale lavoratore . Di questi ben il 76 per cento ha preferito servirsi di Facebook piuttosto che di Linkedin (48 per cento), un social network che dovrebbe essere molto più appropriato per comprendere le capacità professionali di un candidato. Il 69 per cento degli intervistati ha rivelato di aver rifiutato un lavoratore per quello che aveva visto nel suo profilo . Di questi, il 13 per cento lo ha fatto perché il candidato aveva mentito sulle proprie qualifiche, ma le motivazioni spaziavano da foto particolari all’assunzione di comportamenti considerati inappropriati. Il 7 per cento ha respinto il candidato perché aveva scritto qualcosa di cattivo gusto sul precedente datore di lavoro.
In tutta questa faccenda, la domanda fondamentale che sorge spontanea è: chiedere i dati personali per spiare i propri potenziali lavoratori è legale? Non si sa. O meglio, non è molto chiaro. Di certo rivelare ai datori di lavoro la password di Facebook viola i termini di servizio del social network, ma questa violazione sembra non avere alcuna ricaduta in termini legali in quanto, durante una recente testimonianza al Congresso, il Dipartimento di Giustizia, pur ammettendo la violazione dei termini di servizio dei social network, ha dichiarato di non aver intenzione di perseguire tali crimini.
Gabriella Tesoro