Garbage In – Garbage Out è un’antica e sempre valida legge non scritta dell’informatica. L’informatica è un’arte precisa, a fronte di un input errato fornisce un risultato indesiderato. Anche il comportamento delle persone si attiene a questa regola. Ma non tutte le aziende, a partire da quelle informatiche, sembrano ricordarlo.
L’esempio è l’ Evento Motivante , quell’evento che con l’avvicinarsi della bella stagione molte imprese realizzano per i propri dipendenti, pubblicizzandolo ampiamente.
Ma come può un evento cancellare di colpo tutto quello che si è fatto durante l’anno? O, meglio, quello che non si è fatto? Già, non può. Anche per questo alcune imprese dell’IT all’Evento preferiscono una distribuzione di denaro, un “una tantum”. Il problema di queste “una tantum” è che spesso sono date a pioggia, a tutti, con criteri sconosciuti, secondo ragioni ignote, finendo per alimentare l’idea che quanto viene dato non è un riconoscimento del proprio valore, ma un obolo qualsiasi che va a tutti indistintamente, anche al collega svogliato o assenteista.
Più in generale, parlare di premi di produttività è senz’altro complicato, basti pensare alla difficoltà di molte imprese nel comprendere davvero chi rende di più e chi di meno, eppure se c’è un settore che crea innovazione e competitività è il comparto IT, sul quale molto bisognerebbe investire anche da questo punto di vista. Ma non si può neppure dire ad alta voce: molte imprese non saprebbero spiegare ai colleghi perché quelli del reparto IT vengano premiati in modo speciale, non saprebbero neppure motivare efficacemente quanto devono al reparto IT la crescita del proprio business e la riduzione dei costi.
Nell’IT occorre ragionare in modo diverso.
Per poter motivare e comprendere l’IT occorre condividerne i valori, sapere che cosa è importante per le persone che lavorano in quel settore, ascoltarle, sedersi con loro per condividerne i problemi e le aspirazioni. È cosa difficile da attuare, certo, e lo è ancora di più per chi lavora nell’informatica, ossia quella cosa in cui, come sappiamo, “chi comanda non capisce e chi capisce non comanda” e dove è indispensabile un aggiornamento costante del proprio know-how (direi un update quotidiano).
Ma ve lo immaginate lo specialista in risorse umane che cerca di capire che razza di lavoro facciamo e che problematiche affrontiamo? Talvolta è difficile anche tra noi informatici parlarne, tante sono le specializzazioni e le cose che si debbono sapere per fare questo lavoro ad un livello professionale, figuriamoci per un esterno. Eppure capire e parlare è proprio ciò di cui ci sarebbe bisogno se si vuole davvero che ognuno dia il meglio di sé.
Spronarvi a dare il meglio di voi stessi, a tirare fuori tutte le Vostre potenzialità e a mettervi in luce dovrebbe essere il lavoro del vostro capo, ma il problema è che il vostro capo è valutato su quello che realizza come attività, e non su come sviluppa le sue persone. Non è pagato per farlo, spesso non ha le qualità per farlo, ancor più spesso non ha, non si ha, anzi, una cultura aziendale della motivazione e sviluppo. In una parola è difficile davvero che questo avvenga e quando la motivazione manca il risultato è spesso un alto turn-over in azienda, frutto della miope politica del “vediamo quanto resisti prima di arrivare al limite massimo della sopportazione”.
In Italia, date le difficoltà economiche del mercato IT, le penose leggi del lavoro e la mancanza del rinnovo dei contratti, questa politica aziendale nel breve periodo dà i suoi frutti in termini di contenimento della spesa del personale, e non sono poche le aziende che contano su questo, ben sapendo che per molti loro dipendenti un eventuale licenziamento significherebbe l’incubo della disoccupazione o del lavoro a progetto.
Questo atteggiamento però non è privo di conseguenze. Il rendimento delle persone scema sempre di più e le inefficienze si sommano fino al “momento magico” in cui l’ufficio del Personale si dà una svegliata e lancia il questionario sul Clima Aziendale.
Le domande del Questionario sono sempre le stesse in tutte le aziende: cosa ne pensi di dove lavori? Te ne andresti per un posto migliore? Delle due l’una, o sono state compilate da un lemure ubriaco (parafrasando Dilbert), o chi le prepara lavora nell’ufficio distaccato di Paradise city (di cui ignoravate l’esistenza).
Da quando è stata inventata l’indagine statistica, il modo migliore per sapere qualcosa è interpellare direttamente le persone (l’80% di un messaggio passa attraverso segnali indiretti), o meglio fingersi un impiegato e capire come funziona l’azienda dall’interno. Possibile che nel terzo millennio non si trovi nulla di meglio di un asettico questionario a cui non a caso risponde sì e no la metà delle persone a cui lo si è consegnato? Non sarebbe tremendamente più efficace sedersi accanto al proprio dipendente IT per condividere almeno un po’ lo stesso fango? Troppo umano? Troppo diretto? Troppo?
Eppure un rapporto di lavoro soddisfacente per tutti si dovrebbe basare proprio sui valori di trasparenza, integrità, fiducia reciproca che sono alla base della ricerca di un miglioramento costante. Forse faccio questo lavoro da troppo tempo e sono troppo abituato a vedere le cose in una rappresentazione binaria e razionale, ma mi sembra che il problema sia semplice: Garbage In – Garbage Out , se non si instilla nelle persone la sensazione che sono “speciali” ed uniche, specie quelli dell’IT, presto o tardi si raccoglie solo monnezza e non esiste Evento Motivante che possa coprirne l’odore.
I precedenti interventi di G.C. sono disponibili a questo indirizzo