La paura non risparmia neanche le professioni più qualificate: secondo i risultati di una ricerca, gli ingegneri del comparto IT nei paesi sviluppati, USA e UE in testa, si sentono minacciati da outsourcing e delocalizzazioni, ed esprimono timori crescenti per il proprio futuro. Al punto che molti di loro consigliano ai figli di fare un altro lavoro.
Sono questi i risultati principali della survey 2008 EE Times, realizzata da Beacon Technology Partners attraverso una serie di questionari somministrati a ingegneri statunitensi, europei e giapponesi. Obiettivo della ricerca, analizzare le condizioni economiche, le prospettive di carriera e le percezioni dei professionisti del settore IT.
In realtà, documenta un primo approfondimento , di EE Times, a livello di compensi gli intervistati esprimono una moderata soddisfazione. Anche se negli ultimi dodici mesi gli aumenti sono stati ridotti o nulli , infatti, i livelli di retribuzione complessivi restano apprezzabili : gli ingegneri elettronici europei guadagnano all’anno mediamente 61000 dollari, i giapponesi 65400, gli statunitensi addirittura 108000.
Cionondimeno i professionisti, soprattutto quelli over 50, hanno paura. Paura perché i processi di riorganizzazione aziendale stanno toccando anche i santuari dell’IT, portando tagli e licenziamenti. E paura, soprattutto, perché dopo le ristrutturazioni le aziende tendono a migrare. Verso Est e verso Sud. Hewlett Packard, ad esempio, ha annunciato in ottobre l’intenzione di aprire un nuovo stabilimento produttivo nella regione di Chongqing, nell’Ovest della Cina, ed anche altre grandi realtà del settore come Dell e Sun stanno rafforzando la propria presenza nell’area Asiatico Pacifica (ed in America Latina), dove intravedono ottime possibilità di crescita per il futuro.
In aggiunta a questo, i professionisti occidentali sentono la concorrenza dei cosiddetti “cervelli importati”. Come documentato in un ulteriore approfondimento di EE Times, quando i vecchi ingegneri vanno in pensione o vengono allontanati, a sostituirli vengono sempre più spesso chiamati dei giovani laureati provenienti da paesi stranieri. Questi lavoratori presentano alle aziende costi inferiori rispetto ai loro omologhi occidentali – un professionista cinese costa 1/8 di uno nordamericano, uno taiwanese 1/4 – e offrono un livello di competenza del tutto comparabile. Dice Prith Banerjee, Senior Vice President di HP e docente universitario: “Gli studenti statunitensi hanno la percezione che matematica e scienze siano molto difficili, mentre nelle scuole di India e Cina si spinge molto sull’insegnamento di queste materie”
Di qui la diffidenza, quando non l’ostilità aperta, nei confronti della globalizzazione. Tra gli intervistati americani, solo l’8% pensa che la crescente interdipendenza economica globale abbia creato maggiori possibilità di lavoro, e cresce la fronda di coloro che chiedono misure più restrittive rispetto all’importazione di cervelli dall’estero. “Fino al 1990 circa – afferma Gene Nelson, dottore in biofisica e attivista dell’ONG NumbersUSA – le aziende riconoscevano e gratificavano economicamente la preparazione tecnica degli addetti. Oggi, la maggior parte del rischio è sulle spalle del technology worker . Per ottenere una laurea scientifica, uno studente americano spende tra i 50mila ed i 200mila dollari; poi l’azienda cattura una porzione rilevante del sapere che hai accumulato e prima dei 40 anni ti dichiara obsoleto “.
Gli ingegneri occidentali hanno altresì molta paura anche dei processi di outsourcing . Le esternalizzazioni sono vissute come il rischio principale per la stabilità futura dal 36,4% degli intervistati statunitensi, e dal 30% di quelli europei.
Dal punto di vista delle speranze, per converso, le aspettative più grandi sono legate allo sviluppo e all’accettazione delle tecnologie. I settori che potrebbero offrire le migliori prospettive occupazionali per il futuro? Il 63% degli interpellati ha indicato il comparto delle energie alternative, più della metà di loro crede nel solare, e il 50% le nanotecnologie.
Giovanni Arata