Sono trascorsi quasi 5 anni da quando i lavoratori della Silicon Valley hanno aperto uno squarcio sulle pratiche di assunzione e sugli accordi sotterranei stipulati dai colossi dell’IT per calmierare la concorrenza, mantenere basso il costo del lavoro e contenere le aspirazioni dei dipendenti: il confronto in tribunale non ha ora più ragione di sussistere, in quanto la giustizia ha garantito il via libera all’accordo siglato nei mesi scorsi fra i dipendenti e le aziende.
Era gennaio quando i dipendenti avevano raggiunto con Google, Apple, Adobe e Intel l’ accordo stragiudiziale che sapesse finalmente compensare i lavoratori dell’immobilità a cui il cartello delle aziende aveva ridotto il mercato dell’impiego della Silicon Valley. Gli oltre 64mila dipendenti che avevano aderito all’azione collettiva avviata nel 2011 si sono dovuti rassegnare a rinunciare ai 3 miliardi di dollari a cui puntavano in principio, ma hanno raggiunto un accordo sostanzialmente più vantaggioso rispetto a quello a cui avevano ceduto nel 2014, la cui compensazione di 324 milioni di dollari era stata considerata inammissibile dalla giudice Koh, che aveva stabilito che 3.750 dollari di danni per ogni partecipante, al netto delle spese legali, non bastassero per risolvere equamente il contenzioso.
415 milioni di dollari sono invece stati ritenuti una cifra adeguata per la giudice, che ha ritoccato l’accordo solo per quanto attiene la quota da riservare ai legali che hanno gestito il caso: nei mesi scorsi gli aderenti alla class action avevano promesso agli avvocati una fetta da 81 milioni, ma Koh ha deciso di ricalcolare le spese , ridimensionando a 41 milioni il dovuto. Gli aderenti alla class action, in media, verranno risarciti con 5.770 dollari.
L’annoso e ramificato caso giudiziario che ha rivelato al mondo le complicità fra aziende che si pongono sul mercato come concorrenti e i dettagli sulle pratiche di assunzione dei colossi della tecnologia presso cui molti ambiscono a lavorare è finalmente chiuso.
Gaia Bottà