Roma – In attesa del sonnecchiante Symbian e del sempre più atteso OSX di iPhone, le più inquiete sul fronte degli OS per piattaforme mobile sembrano essere Palm e Google, decise sempre più a movimentare il mercato mobile di questo caldo 2009 che. Mentre si vocifera sul successore dell’ancora lontano dal trono del successo Palm Pre, l’azienda di Sunnyvale sembra decisa a puntare dritto al mercato dei netbook, ripresentando una versione arricchita di WebOS del mai nato Foleo .
Il successore di Pre sarà con tutta probabilità Eos, nome attribuito al dispositivo che porta il nome in codice Castle. Nonostante l’azienda californiana non abbia confermato le indiscrezioni relative al nuovo dispositivo, sarebbe questo il nome del secondo dispositivo a montare il tanto atteso WebOS . Il nuovo dispositivo, se confermato, potrebbe segnare il ritorno al form factor del candybar dotato di QWERTY fisica, a cui verrà affiancato il display dotato di touch screen capacitivo dalla risoluzione di 320 x 400 pixel.
Tra gli altri dettagli, spiccano la memoria interna di 4GB, l’A-GPS, una fotocamera da 2Mpx e il solito set di connettività ormai divenuto standard sugli attuali smartphone. Il prezzo del dispositivo, sul quale si attendono conferme ed ulteriori notizie in materia di tempi di commercializzazione, sarebbe fissato intorno ai 350 dollari, riducibili ad un centinaio in presenza di un contratto con un provider. Eos sembra destinato a rinforzare il parco telefoni di AT&T e, forse , anche quello di Sprint.
Nel mentre ferve l’attesa per vedere in azione il nuovo OS mobile dell’azienda, aumentata anche in seguito ad alcuni screenshot apparsi sul web. Comunque, chiunque pensi che un OS Mobile sia destinato ad essere integrato solo sugli smartphone potrebbe sbagliarsi: sarebbe proprio WebOS il punto chiave che permetterebbe a Palm di rilanciare il mai decollato esperimento pioneristico di Foleo, il cui debutto è riconducibile all’era pre-netbook.
Secondo un analista di Global Equities Research , Palm avrebbe intenzione di costruire un netbook equipaggiato con il nuovo sistema operativo e dal chip Gobi 3G wireless di Qualcomm, con una batteria la cui autonomia è stimata intorno alle 8-10 ore ed un prezzo vicino ai 400 dollari e, purtroppo, abilitato a far girare solo ed esclusivamente applicazioni native. Il che rappresenta secondo molti un vero e proprio neo, dal momento che un netbook del genere, che vanta numerosi concorrenti anche a prezzi inferiori, possa risultare poco appetibile proprio per via della chiusura del sistema.
Comunque, a dimostrare che l’attrazione dei grandi produttori di elettronica verso il settore dei netbook sia ancora viva e scintillante c’è sempre Android, da tempo candidato ad iniziare le danze nel valzer tra mini-laptop e sistemi operativi mobile. Sul versante smartphone, invece, Google ha da poco registrato l’interesse di altri due big del settore della telefonia disposti a scegliere l’OS di BigG come colonna portante dei prossimi modelli da destinare al mercato. I nomi sono quelli di Motorola , da sempre affascinata dal progetto Android e Acer che, disposta a metter fine al sodalizio con Windows Mobile per accasarsi con Android: l’ annuncio è stato fatto proprio dal CEO Gianfranco Lanci, secondo il quale sarebbero già in fase di test i primi dispositivi marchiati Android, dispositivi che arriveranno sul mercato entro la fine del 2009. Un anno che è stato più volte associato alla completa maturazione dell’OS di Google.
Ma a rovinare la festa del milionesimo G1 venduto potrebbe essere la sortita di Erich Specht, titolare e depositario dei diritti di utilizzo del marchio Android sin dal 2002 e intenzionato a dar vita ad un’epica battaglia legale che vede coinvolte oltre a BigG circa 45 aziende tra cui figurano T-Mobile, Intel, Samsung, Vodafone e Motorola solo per citarne alcune. Specth ha citato in giudizio l’allegra comitiva poiché, a suo dire, sarebbe stato ripetutamente abusato l’utilizzo del termine Android, motivo per il quale avanza delle richieste destinate a far discutere, quantificabili in un risarcimento da quasi 100 milioni di dollari e l’obbligo per Google e soci di cambiare nome al sistema operativo mobile.
L’intera vicenda sarebbe dovuta, comunque, ad un errore di Google: nel 2007, poco tempo prima che Android venisse lanciato, l’azienda di Mountain View aveva depositato il marchio Android, in seguito rifiutato proprio per via della concomitanza con quello registrato nel 2002 da Specht. Sulla vicenda di sicuro non mancheranno sviluppi pieni di interesse, dal momento che Google si è detta disposta a difendere il piccolo androide “in maniera decisamente vigorosa”.
Vincenzo Gentile