Un bel codice scritto ad arte e inserito in un banner tira fuori un pop-up che avverte della presenza di un problema di sicurezza sul PC. In cambio di un importo in denaro e delle informazioni sulla carta di credito, il pop-up offre subito la soluzione. Basta cadere in questa semplice trappola e il malcapitato utente si ritrova, nel migliore dei casi, una magnifica backdoor sul PC, senza aver risolto il suo problema di sicurezza che, beninteso, non esiste. E con i dati della carta di credito compromessi.
Perché accade? Il grande nome del sito, la grande fama , la provata e rinomata notorietà , unite alla frequente negligenza nel mantenere aggiornate le difese o, addirittura, nell’esserne del tutto sprovvisti : queste sono le ragioni che, in coppia con l’ingenuità e le alzate di spalle di tante persone, lasciano via libera al malware pubblicitario , quello che viene diffuso da banner infetti .
Ciò accade con allarmante regolarità a molti internauti , spesso inconsapevoli utenti di siti di grande richiamo. “Si tratta di siti rispettabili, con alti valori di traffico”, dice Don Jackson, un ricercatore di SecureWorks , azienda che si occupa di sicurezza informatica e segue questi fenomeni. “L’obiettivo (degli estensori della malapubblicità , ndR) è compromettere i computer degli utenti e, fondamentalmente, poterne disporre a volontà”. Finalità che, come ben sanno i lettori di PI , significa creare elementi attivi per le Botnet .
Secondo il ricercatore, il fenomeno è molto esteso e riguarda potenzialmente migliaia di siti, la maggior parte dei quali legati all’ entertainment e alla televisione. Jackson sostiene anche di aver tentato di intervenire cercando di far chiudere quei siti che SecureWorks ha individuato come colpevoli, ma, ammette, per ogni due siti chiusi, almeno altrettanti sono ancora operativi.
Il fenomeno nel suo complesso, certamente preoccupante, non è che la punta di un iceberg : nessuno dei grandi nomi si occupa direttamente dei rapporti pubblicitari, bensì si serve di altrettanto grandi agenzie pubblicitarie, che acquistano lo spazio necessario per collocare il proprio prodotto. Che a sua volta è il collage dei lavori di agenzie più piccole: la storia, dunque, si ripete. E, assieme alla storia, si ripete il muro di gomma: quando la filiera è lunga, diventa difficile – se non impossibile – risalire al primo responsabile.
Sul piano tecnico, spiega Channel Register , il metodo rivelatosi tra i più efficaci per limitare i danni è quello di utilizzare, nel caso del browser Firefox , l’estensione noscript , che impedisce l’esecuzione di script attivi in una pagina web, se i relativi siti non vengono specificamente autorizzati dall’utente. In Internet Explorer è possibile fare altrettanto intervenendo sulle opzioni Internet . Di certo vi è che gran parte degli utenti impiega i browser in modalità as is (così com’è), lasciando alle circostanze molte strade sgombre.
Peraltro non è la prima volta che si fanno i conti su vicende del genere e il proliferare di questo fenomeno non fa che peggiorare una situazione già evidenziata come pericolosa in circostanze analoghe. Ancora una volta, dunque, occorre ridurre al minimo l’ingenuità, essere sempre aggiornati con le protezioni e, per default , non avere fiducia in nessun sito , anche se arcinoto. Soprattutto, non utilizzare i browser in modalità OOBE ( Out Of Box Experience , esperienza appena fuori dell’imballo) ma alzarne subito le protezioni seguendo il criterio universalmente riconosciuto come il più sicuro, quello dei firewall : tutto ciò che non è espressamente consentito è vietato . Se, nel navigare, si scopre che un determinato sito riesce del tutto illeggibile, con cautela si ridurranno i divieti uno per volta e ad personam situm .
Marco Valerio Principato