La neutralità della rete è una questione che non riguarda l’Australia: a dichiararlo sono i rappresentanti degli ISP locali, che snocciolano la soluzione finale come contributo per il mondo che ancora si interroga sull’accesso differenziato ad Internet. Basta chiedere agli utenti un equo corrispettivo per il loro consumo di banda – dicono gli ISP australiani – e tutti i problemi si dissolvono.
I fornitori di contenuti riversano in rete materiale sempre più avido di banda? I cittadini della rete danno sfogo alla propria creatività online? I provider dovrebbero evitare i piagnistei, dovrebbero accampare giustificazioni valide e non aggrapparsi all’idea che sia colpa delle infrastrutture se ci sono problemi, perché insufficienti per sostenere la fame di banda degli utenti: “Non credo nel fatto che la capacità delle infrastrutture di rete sia finita – denuncia Simon Hackett, a capo di Internode, ISP di Adelaide – i problemi connessi alla neutralità della rete non sono problemi di natura infrastrutturale, ma di un modello di business che sta esplodendo a causa della pressione al quale è sottoposto”. Il problema, a parere di Hackett, riguarda gli States e i paesi i cui provider si ostinano a svendere la connettività con modelli flat , come succede quasi interamente anche in Italia: “A differenza dell’Australia – conferma Justin Milne, ex dirigente del maggior provider australiano – alcuni ISP offrono piani davvero illimitati”.
I provider che adottano la flat, dunque, sarebbero prigionieri di un modello di business che negli anni scorsi li favoriva, poiché il netizen si limitava a fruire di contenuti poco avidi di banda e a produrre materiale da pochi bit. Ma si è trattata, a parere degli ISP australiani, di una strategia poco lungimirante: si è così finito per instillare nell’utente la convinzione che il traffico non avesse un prezzo , che fosse possibile scialare banda nel download e nell’upload di contenuti sempre più ingombranti. “Ora tutti fanno file sharing e mandano video ovunque – osserva Milne – e il problema per le telco negli States è che devono consolidare le proprie reti ma non possono contare su entrate abbastanza consistenti per farlo”.
Esistono diverse soluzioni per interrompere questo circolo vizioso. È possibile fare pressione sui principali fornitori di contenuti affinché contribuiscano economicamente a evitare lo sfacelo della rete per continuare a rivolgersi ad una platea vasta e entusiasta. È una strada che i provider hanno tentato di battere ad esempio nel Regno Unito: iPlayer di BBC raccoglie consensi e si accaparra una buona parte della banda che i provider mettono a disposizione dei netizen, BBC dovrebbe per questo motivo contribuire economicamente all’irrobustimento delle infrastrutture. Le rivendicazioni dei provider, un esplicito proposito di costruire corsie preferenziali per un certo tipo di contenuti, sono state però sommerse dalle minacce di BBC.
Negli States gli ISP che devono affrontare problemi analoghi hanno pensato ad altre soluzioni: c’è chi, invece che costruire corsie preferenziali per contenuti diramati dall’industria, ha pensato di contenere e ridimensionare la circolazione dei contenuti scambiati fra gli utenti. Comcast ha approntato discussi limitatori per contenere una certa fame di banda e evitare il collasso, ha radiato senza convenevoli utenti troppo famelici.
La tattica non ha funzionato: le autorità hanno richiamato Comcast all’ordine e le hanno implicitamente imposto un cambio di strategia, che si è concretizzato nella chiara imposizione di limiti mensili al traffico , una chiarezza peraltro assente in Italia . Verso questa direzione guardano i provider australiani: Michael Malone, a capo di iiNet, spiega che, senza imporre alcun limite ai download, il 3 per cento degli utenti finisce per approfittare del 50 per cento della capacità dell’infrastruttura. Per questo motivo, spiega Malone, è necessario istituire delle soglie di traffico tarate perché vengano superate solo dalla ridotta percentuale dei più attivi downloader: questa minima percentuale di cittadini della rete pagherà di più per avere servizi più adatti alle proprie esigenze, mentre l’esperienza online continuerà a sembrare illimitata per la stragrande maggioranza degli utenti. In questo modo ciascuno paga per quanto consuma e il provider può attrezzarsi e attrezzare la propria infrastruttura per soddisfare le esigenze di ciascuno.
“Che sia l’elettricità, che siano i viaggi, il petrolio, noi come umani siamo abituati all’idea che più si consuma più si paga – argomenta Milne – per la rete negli Stati Uniti si è magicamente deciso di fare diversamente e ora credo che i provider debbano tornare con i piedi per terra: non si può semplicemente costruire queste reti gratuitamente, qualcuno deve pagare”. Ma se la ricetta per fare in modo che la rete resti neutrale può funzionare in Australia, non è scontato che possa adattarsi ad altri paesi e ad altri mercati: c’è chi sottolinea che i provider statunitensi abbiano già a disposizione quanto serve per adattare la propria infrastruttura alle esigenze dell’utenza, c’è chi dimostra come i limiti imposti al traffico rappresentino un ritorno al passato, un ostacolo all’innovazione e al dispiegarsi di modelli di business potenzialmente fruttuosi. Senza considerare che l’imposizione delle soglie di traffico non è affatto ben accetta dai netizen, negli States , in Italia così come in Australia .
Gaia Bottà