Rientra, almeno parzialmente, l’allarme che nei mesi scorsi era stato lanciato da alcuni ricercatori australiani, quello sull’uso delle stampanti laser . Secondo gli scienziati del Fraunhofer Wilhelm Klauditz Institute , o WKI, la questione non è se le laser emettano o meno particelle, ma di quali materiali si parla.
In particolare, nel corso di esperimenti sponsorizzati dalle imprese ICT riunite in BITKOM, i ricercatori hanno verificato che le particelle emesse durante la stampa non sono costituite da toner né da sostanze derivate dal toner. Si tratta invece di altri elementi pressoché innocui , come la paraffina o altri elementi organici, emessi in particelle estremamente volatili. “Una delle proprietà essenziali di questo particolato ultrafine – spiega Tunga Salthammer, uno dei ricercatori – è la loro volatilità, e questo indica che non stiamo studiando una polvere di toner”.
Il fatto di trovarsi in una stanza in cui vi sono laser attive, dunque, difficilmente potrebbe costituire un rischio salute . Gli scienziati equiparano quel tipo di particelle a quelle prodotte anche quando ci si prepara un toast o si cucina a casa.
Il motivo per il quale le stampanti emettono quelle particelle è tutto nei componenti che portano ad un riscaldamento dei dispositivi fino a 220 gradi nel corso del processo di stampa: sono quelle temperature a far evaporare sostanze volatili. E i filtri già adottati su alcuni dispositivi per ridurre le emissioni non sono granché efficaci in quanto le particelle spesso e volentieri bypassano i filtri, ad esempio “passando” assieme al foglio di carta che esce dalla stampante.
Sebbene ci sia chi dubita della bontà dei risultati del Fraunhofer, mettendo in luce proprio il fatto che le ricerche WKI siano state finanziate da BITKOM, c’è invece chi dà per scontato che ci si trovi dinanzi ad un reale ridimensionamento del problema rispetto a quanto prospettato dagli studi australiani.